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giovedì 16 marzo 2017
16:21

Calcio-Miracoli: Tahiti, Viva la rèvolution

di Jacopo Ramponi per #tuttoilcalcioblog
Torna la nostra rubrica di storie con un'altra puntata avvincente. 

10 Giugno 2012 ore 19:01 del meridiano di Greenwich, siamo a Danzica, Polonia. È il 61esimo minuto della prima partita del gruppo C degli europei di calcio, Totò Di Natale porta in vantaggio l’Italia di Prandelli sulla Spagna campione del mondo.

Mancano solo tre minuti al gol del pareggio di Fabregas, ma non arriveremo a vederlo. Saliamo di fretta sull’aereoplanino di Totò e voliamo lontani, lontanissimi. Voliamo verso la parte opposta del mondo, in Micronesia, dove si sta consumando un miracolo all’altezza del Leicester di Ranieri o del Verona campione d’Italia. Scendiamo dall’aereoplanino e ringraziamo Antonio, lui ci saluta e riparte per l’Europa, dove arriverà in finale con l’Italia, ma questa è un’altra storia.

Ci troviamo al Lawson Tama Stadium di Honiara, Isole Salomone, dove tra poco ci sarà il fischio di inizio della finale della OFC Nations Cup, ossia la coppa continentale dell’Oceania. Si sfidano Tahiti e la Nuova Caledonia, la cornice di pubblico è buona (intorno alle 5000 unità) e il cielo è sereno, ottimi presupposti per una finale. Non mi aspetto che voi conosciate il calcio del Pacifico, quindi non potete sapere quanto sia clamorosa questa finale. Per farvi capire, è come se la finale degli europei fosse Albania-Islanda. Assurdo, non è vero? Sapete, gli dei del calcio hanno un ottimo senso dell’umorismo, scrivono storie destinate a cambiare il corso delle cose. Il 10 Giugno 2012 è stata compiuta la loro
volontà, ma facciamo un passo indietro.

23 Novembre 2011, prima giornata del primo turno di coppa.
È il più divertente, si sfidano in un girone all’italiana le squadre più basse nel ranking oceanico (oltre che mondiale), il tasso di spettacolarità è basso, ma è meglio approfondire questo turno in particolare perché è quello dove il grande cuore dei piccoli atolli viene fuori, il mondo merita di conoscerli.
Pronti e via, le Samoa Americane battono 2-1 le Tonga, portando così a casa i primi 3 punti nella loro storia, e già questo è un miracolo calcistico dal momento che fino a poco prima non solo non avevano mai vinto ma non avevano nemmeno mai segnato un gol. Nel frattempo le Samoa occidentali strappano alle Isole Cook la vittoria, Albert Bell segna al 90’ un gol che vale l’intero bottino.
Avanti tutta verso la seconda giornata, quella del derby, le due Samoa incrociano le armi per risolverla con un 1-1 degno di un Chievo-Udinese di fine maggio.
Le Cook si fanno beffare di nuovo al 90’, questa volta sono le Tonga e il marcatore è il bomber locale Konitoni Falatau, 2-1 il risultato finale.
Arriviamo alla terza ed ultima giornata, le isole Cook pareggiano con le Samoa Americane e servono il biscotto ai cugini occidentali, facendoli passare al turno successivo. Ci credereste? Le Isole COOK che fanno il BISCOTTO ai mondiali.
E non venitemi a dire che non state già iniziando ad amare questo continente.

Bene, le Samoa occidentali sono quindi qualificate al secondo turno, composto da due gironi da quattro squadre.
Girone A: Tahiti, Nuova Caledonia, Vanuatu e Samoa.
Girone B: Nuova Zelanda, Isole Fiji, Isole Salomone e Papua Nuova Guinea.
Ah…la Nuova Zelanda. In mezzo a questo mucchio di muratori in scarpini fanno la figura che farebbe la Juventus il Lega Pro. Non è brutto quando una squadra monopolizza un torneo? Ci ritroviamo sempre a sperare in un miracolo, tifiamo sempre per il più debole.

Questa volta passano le prime due squadre di ogni girone, abbiamo quindi quattro nazioni che si sfidano in un torneo ad eliminazione diretta con semifinali e finale, abbiamo addirittura la finalina per il terzo posto.
Facciamola breve, Nuova Zelanda piglia tutto. Vince il girone e si qualifica davanti alle Isole Salomone. Nell’altro girone Tahiti passa da primo a punteggio pieno davanti alla Nuova Caledonia. La tensione è bassissima, dal momento che ci ritroviamo con uno squadrone quotato 1,01 alla vittoria di fronte a degli avversari nettamente non all’altezza.

Vi capita mai di percepire dei segnali? Il presente suggerisce il futuro, come se gli dei del calcio ci avvisassero del loro arrivo.
Io dei segnali ne ho percepiti. Questi mi dicevano che, per una volta, la storia che tutti credono sia già scritta, non si avvererà.
Forse la speranza che Davide vinca contro Golia è così grande da essere diventata certezza. La Nuova Zelanda si presenta all’ultimo turno non a punteggio pieno e con una differenza reti solo di +1. Andiamo…se la Juve giocasse in Lega Pro avrebbe una DR di +65, cosa può essere successo? Dall’altro lato Tahiti aveva numeri da campioni, DR di +13 e 9 punti su 9.

Però dai, non illudiamoci: Le piccole, alla fine, perdono sempre.

8 Giugno 2012, data delle due semifinali.
La prima partita vede di fronte la prima del gruppo A contro la seconda del B, quindi Tahiti- Isole Salomone. È una partita dal valore quasi simbolico, serve solo per decretare ci andrà a beccarsi la medaglia d’argento. Minuto 16 del primo tempo, Tahiti passa in vantaggio e si chiude in fase difensiva, mette in cassaforte la finale. Nella seconda semifinale la Nuova Zelanda si trova a dover affrontare una specie di amichevole con la Nuova Caledonia, semplice amministrazione direte voi, vero?

Le squadre entrano in campo, fischio d’inizio.
Dopo solo 9 minuti il numero 9 Neo-Caledoniano (servito da un assist di tacco al bacio del numero 10) tira una sassata ai 100 all’ora sul palo. Chiamatelo come volete, io lo chiamo segnale della presenza degli dei del calcio in campo. Il resto del primo tempo è un assedio neozelandese, occasioni da gol come se piovessero, ma il pallone si rifiuta di entrare. Avrebbero fatto meglio a mettersi il cuore in pace, perché quel giorno il destino aveva preso una scorciatoia. Inizia la ripresa, per 15 minuti la partita è bloccata dai catenacci delle difese quando, al 60esimo, apriti cielo.
Cross dalla tre quarti, spizzata del numero 9, inserimento del numero 11 e colpo da biliardo, palla in rete. Davide ha colpito Golia.

Come ogni squadra abituata a vincere sempre, la Nuova Zelanda si riversa inutilmente in attacco alla ricerca del pari, ma ripeto, avrebbero fatto bene a farsene una ragione. Prendono un palo ma si scoprono, così al 92esimo Davide infligge il colpo di grazia a Golia, Gope- Fenepej si ritrova palla al piede di fronte a portiere avversario.
Pallonetto, gol.

Partita finita, hanno veramente vinto.
I tifosi entrano in campo, i giocatori ballano, cantano e piangono con loro.
Non gli importava di come sarebbe andata la finale, la rivoluzione ormai era stata fatta, i deboli hanno sconfitto il tiranno e tutti erano felici così.
Non si rendevano conto che il torneo sarebbe finito quel giorno.

“La prima cosa che farà qualunque comunità maori per dimostrare il suo vigore e la sua energia, sarà di costruire un buon marae”.
Recitavano così i pensieri di Te Puke Te Ao, contadino Maori nato nel 1834 dalla tribù Ngati Raukawa, entrato poi a far parte del parlamento Neo-Zelandese.
Un marae non è altro che un semplice spiazzo quadrato di terra battuta, dentro al quale si ergono pietre simili a quelle di Stonehenge. Sono spazi dedicati alle cerimonie speciali delle culture polinesiane e micronesiane, spesso dedicate agli dei pagani. Il calcio non sarà una delle loro antiche tradizioni ma, che dite, avranno dedicato un marae all’undici titolare neocaledoniano? Secondo me si.

Ritorniamo al principio: 10 Giugno 2012, Lawson Tama Stadium di Honiara, Isole Salomone, giorno della finale.
Ventidue giocatori così sorridenti in campo non li rivedremo per un po’, la caduta della Nuova Zelanda (che ha vinto la finalina con le Salomone) aveva reso vincitori un po’ tutti, non solo i neo-caledoniani. Tahiti ci mette solo 11 minuti a sbloccarla, Chong Hue la insacca, di li in poi succede poco.
Triplice fischio, il semi-deserto atollo di Tahiti prende la coppa e la solleva, poi la porta sull’aereo, direzione Papeete.
Questa è la capitale nazionale, 26’000 anime accolgono i loro eroi come se avessero vinto una guerra, più che una partita.

Non esistono tradizioni per festeggiare vittorie del genere, non è mai successo prima e possiamo solo sognare che succeda di nuovo. Non ci sono marae abbastanza grandi per rendere omaggio a questo miracolo. Esiste solo un grande cuore, ma quello, a differenza delle coppe, c’è sempre stato e sempre ci sarà. Un antico detto maori recita: “Un legame umano non può essere tagliato, a differenza della corda della canoa”. Quindi saliamo su questa canoa e torniamo a casa, tanto il nostro legame con questo fantastico continente non può essere tagliato.

Ammettetelo, ora anche voi amate l’Oceania almeno un po’.

Jacopo Ramponi



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