di Jacopo Ramponi per #tuttoilcalcioblog
Torna la nostra rubrica di storie con un'altra puntata avvincente.
Alto volta e Burkina Faso sono due facce della stessa medaglia, due nomi per una nazione che
è sempre rimasta li, come la pagina di un libro che aspetta di essere sfogliata.
La prima nazione è frutto della colonizzazione francese, la seconda invece deriva dalla più
romantica delle storie indipendentistiche Africane. Ovviamente a due nazioni corrispondono
due nazionali di calcio e, di conseguenza, due debutti.
Il primo debutto ricorda quando da piccoli pregavamo nostra madre per poter uscire a
giocare a pallone con gli amici e lei, dopo diversi no, ci concedeva una mezz’ora fuori.
In questo caso la mamma è l’Impero Francese e noi siamo l’Alto Volta, dopo aver passato
decenni come territorio conquistato otteniamo nel 1958 il lusso di essere una nazione
semi-autonoma. Non si fanno pregare per mettere su una nazionale di calcio, così poco dopo
pensano di trovare un 23 calcistico e di inaugurarlo con un’amichevole.
Il fiume “Volta” attraversa tutto il paese ed è diviso in tre rami, Volta Bianco, Rosso e Nero, dai
quali abbiamo i colori della bandiera e, di conseguenza, quelli della divisa della squadra.
A guidare la squadra troviamo Otto Pfister. Ricordate i mondiali di Germania 2006, quando tra
tutte le squadre partecipanti alla fase finale si è riuscito a ritagliare un posto anche il piccolo
Togo? Anche questo è un miracolo, ma ne parleremo un’altra volta. Ad allenare questi ultimi
c’era proprio lui, il mister tedesco conosciuto in africa come colui che compie miracoli
calcistici.
Arriva il giorno dell’amichevole. 13 Aprile 1960, siamo sul campo neutro di Antananarivo,
Madagascar, ad affrontarli troviamo la nazionale del Gabon.
Squillino le trombe, c’è il fischio d’inizio. Vi aspetterete che, come al solito, il debuttante esca
dallo scontro sconfitto e umiliato.
L’Alto Volta parte piano, come un diesel. Lanci lunghi che diventano rimesse per il portiere,
falli, passaggi non riusciti, tiri alti sopra la traversa e tanti altri scempi tecnici. Va da sé che il
primo tempo si conclude sullo 0-0.
Inizia il secondo tempo e il campo si trasforma in una trincea, iniziano fuochi d’artificio che
quelli di Napoli a capodanno sono nulla. La macchina schiacciasassi dell’Alto Volta parte e
sembra avere un difetto di progettazione: Manca il freno.
Piovono gol, palla e rete sono due magneti con poli opposti e, tenetevi stretti, la partita si
conclude con un sonoro 5-4 per i debuttanti. Mica male, vero? Sono partiti in quarta, e chi ben
comincia è a metà dell’opera, anche se per loro questo debutto vale come due opere intere.
"Dobbiamo accettare di vivere all’africana, perché è il solo modo di vivere liberamente, il solo
modo di vivere degnamente." -Thomas Sankara.
Thomas Sankara è nato il 21 Dicembre 1949 in Alto volta ed è morto il 15 Ottobre 1987 in
Burkina Faso, l’amore per il suo paese lo ha portato a cambiare il destino del suo popolo.
Il rapporto tra la storia della sua vita e quella della nazionale di calcio del Burkina Faso è
paragonabile a due rette incidenti, non si incontrano mai, se non per un singolo punto in
comune: Il giorno 4 Agosto 1984.
Dopo l’incredibile numero di quattro colpi di stato (1966, 1980, 1982 e 1983), il
rivoluzionario Thomas Sankara, autore solo dell’ultimo dei quattro, guida il partito
nazionalista-radicale fino in cima al governo, con l’intento di liberare il proprio paese dai capi
di stato corrotti e di riavvicinare le classi. Quest’ultimo, dopo la sua ascesa a capo del governo
nel 1983, decide in data 4 Agosto 1984 di compiere un gesto simbolico: Cambiare nome al
paese in Burkina Faso, ossia “Terra degli uomini integri”.
E fu così che c’era una volta l’Alto Volta.
Il cambio della bandiera segue a ruota quello del nome, vengono scelti colori rigorosamente
pan-africani (verde, rosso e giallo), disposti in due righe orizzontali, una verde e una rossa,
con una stella gialla in mezzo che simboleggia la fede e l’integrità. Ovviamente i 23 eroi della
nazionale si adeguano e cuciono la divisa con la quale loro e i loro successori scriveranno altre
storie.
Stesso paese e stesso popolo. Nome e colori diversi.
E così via verso il nuovo debutto, rappresentando la terra degli uomini integri.
Gli anni ’80 sono delicati per questa nazione, la prima metà della decade è stata segnata da
ben tre colpi di stato, la seconda è servita a Sankara e al suo popolo per stabilizzarsi. Per
questi motivi la nazionale ha dovuto aspettare il 1990 per tornare a giocare a calcio in tornei
internazionali (mondiali e coppa d’Africa), ma non per debuttare in una amichevole ufficiale,
eccoci servito allora il secondo grande debutto.
In soli 105 giorni è nata la nuova nazionale di calcio: “Fédération Burkinabé de Foot-Ball”.
Dato il loro amore per il calcio, non è stato difficile trovare un nuovo 23 convocabile, così
viene fissata in data 17 Novembre 1984 una nuova partita di debutto, ma con la carte
mischiate rispetto all’ultima volta.
Innanzitutto il match si disputa tra le mura amiche della capitale Ouagadougou, in quello che è
stato da poco lo stadio della finale di Coppa d’Africa 2017 tra Egitto e Camerun. Poi, tanto per
rimanere in tema di nazionalismo (in linea con gli ideali di Sankara), l’allenatore non è più un
europeo ma un tradizionalissimo burkinabè: Idrissa Malo Troare, il quale è rimasto seduto su
questa panchina per molti anni, fino a portare la nazionale alla prima qualificazione in Coppa
d’Africa dell’era post-4 Agosto, nell’edizione del 1996 in Sud Africa. Un’ultima differenza dal
primo debutto è l’avversario, il piccolo Togo, che dopo 22 anni farà la conoscenza del
miracoloso Otto Pfister. Arriviamo così al giorno della partita.
È una seconda prima volta e la partita si svolge nello scenario di uno stato fresco di ribellione,
due premesse che non fanno sperare nella più romantica delle partite, l’umore forse non è
adatto.
Sono le 17 in punto, c’è il fischio d’inizio in uno stadio mezzo vuoto dove corrono in campo 22
giocatori, dei quali 11 sono burkinabè e gli altri sono Togolesi. La partita si svolge su un
campo bagnato dalle piogge equatoriali, dato che ci troviamo nel Golfo di Guinea ed è facile
che piova, un altro dato che depone a sfavore della spettacolarità della sfida.
Neanche a dirlo, la partita finì 1-1, un risultato che rispetta le premesse e rispecchia
l’equilibrio degli animi dei giocatori, gioia e dolore allo stesso tempo. Non sono stati raccolti
altri dati sulla partita, nemmeno dai supremi burocrati della FIFA, non sappiamo chi sia stato
il primo marcatore dell’era post-Volta, sappiamo solo che era un uomo integro e che faceva
parte di una nazionale che aveva voglia di guardare in avanti verso il futuro.
Negli anni a venire la nazionale di calcio del Burkina Faso vincerà innumerevoli partite, fino a
diventare una potenza del calcio del continente nero, partendo dalla partecipazione al torneo
di qualificazione ad Italia ’90 fino ai giorni nostri dove è 53esima nel ranking mondiale.
Parteciperà a dodici Coppe d’Africa, raggiungendo il quarto posto nel 1998 (dove ospitavano
anche la competizione) e addirittura il secondo posto nel 2013 in Sud Africa, dove hanno
perso la finale 1 a 0 contro la Nigeria. Contiamo anche le 6 partecipazioni alle qualificazioni
per i mondiali, ai quali non è mai riuscita ad arrivare alle fasi finali.
Per concludere, voglio farvi una domanda: Dov’è il miracolo in tutto ciò? Nella prima partita
da indipendenti o nel secondo posto di Sud Africa 2013? Oppure il vero miracolo si compirà
quando vinceranno una coppa? Oppure tutti quanti, ma che importa?
Il vero miracolo, cari miei, è vedere nel calcio una festa, un’occasione di felicità. Proprio come
hanno fatto gli eroici burkinabè che dopo tutto quello che hanno passato si sono messi gli
scarpini e sono andati a giocare a pallone.
“Quello che il bruco chiama fine del mondo, il resto del mondo lo chiama farfalla” – Lao Tze.
Jacopo Ramponi
#TICBemozioni
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giovedì 23 marzo 2017
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