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lunedì 13 febbraio 2017

#GrazieRiccardo: CRONACA DI UN POMERIGGIO A SAN SIRO SULLE TRACCE DI UN MITO - SPECIALE LA CABINA -

di Luca Savarese di www.stadiotardini.it  per #tuttoilcalcioblog

Ieri, domenica, a Milano, in una giornata uggiosa come se anche il tempo fosse un po’ triste, è andata in scena l’ultima edizione delle radiocronache di Riccardo Cucchi, una star della radiofonia italiana. Che sia benedetta anche la sua ultima narrazione, che si snocciolerà tra le azioni dell’Inter e quelle dell’Empoli. Curiosità: aveva aperto le danze delle sue radiocronache nell’agosto del 1982 con Campobasso-Fiorentina, le chiude con un’altra toscana in trasferta, questa volta l’Empoli. Il media center, l’elegante container che ospita la stampa, tra tv al plasma e piatti caldi, è piuttosto vuoto; poche persone, la partita non è proprio di cartello, ma ha una locandina che val bene più di una messa: Inter-Empoli, ultima radiocronaca per le frequenze di Tutto il calcio di Riccardo Cucchi. Non tutti lo sanno, ma è come se tutti lo sentissero. Sono le ore 13.30 e Riccardo, non è ancora arrivato. Appena raggiungo la tribuna stampa, non è nemmeno lì. Come i grandi campioni, nel giorno della loro ultima apparizione, fa seguire un alone di mistero, quasi magico, alla sua persona. Passano pochi secondi e il tabellone di san Siro lo annunciano, o meglio, parte improvviso il jingle della Cucchi song: un paio di minuti di un video emozionale con spezzoni della sua voce che raccontano i più nobili gol interisti. A quella che è stata, dal 1996 ad oggi, la prima voce di Tutto il calcio, viene donata una maglia nerazzurra incorniciata con tanto di numero 10. Riccardo, la riceve nella zona di campo dove inizia l’area tecnica. Applausi sinceri, non per Icardi o Handanovic, ma per Riccardo Cucchi, che ha portato nelle orecchie dei tifosi della Beneamata la loro ultima coppa dei campioni, forse quella più impensabile, colta al Bernabeu il 22 maggio del 2010. Ma, la scena che davvero fa venire i brividi, la si registra quando ritorna sui banchi bianchi della tribuna stampa del Meazza, prima di incominciare la sua ultima fatica. Un bagno di folla, gente che dal confinante secondo anello rosso, vuole una foto con lui. Riccardo apprezza, e concentratissimo, invita tutti: “Ragazzi, passate a fine primo tempo e faremo tutte le foto”. Tutto è quasi pronto, dopo aver infilato la cuffia per l’ultima volta ed aver raccontato a Massimiliano Graziani durante il giro veloce dai campi prima dell’inizio del match, le sue emozioni nell’aver calcato un pezzo d’erba, per la prima volta nella sua vita, dello stadio San Siro di Milano, inizia Inter-Empoli, scandita, snocciolata, sorseggiata con nelle orecchie l’ultima lezione del professor Cucchi. Al sottoscritto viene dato l’accredito ma senza una postazione particolare. Decido, memore degli insegnamenti di Majo, di marcare a uomo Riccardo e mettermi in un angolo il più vicino possibile alla sua persona. Le poltroncine rosse, ultima fila del secondo e con vista primo anello ma sprovviste di banchi e di prese, sono una valida trincea. In fondo, disto solo due file, molto strette e, stipatissime, da sinistra. Sento, nelle mie orecchie collegate alla radiolina, il verbo di Riccardo poco sopra, da dove mi trovo io. Parte la gara e via anche parallelamente alla sua gara. “Stiamo assistendo ad una piccola pagnolada, una protesta civile per i torti che l’Inter ritiene di aver subito”. Tutto avrei pensato in questa settimana, ma mai di essere nello stesso tempio e non lontano da dove Riccardo Cucchi avrebbe vissuto la sua ultima radiocronaca. Cose serendipiche che si vivono solo sulle frequenze di stadiotardini. Passano pochi minuti e subito lo interrompono Fortuna ed Avallone. Il Chievo a Reggio Emilia ha sbagliato un rigore con Inglese, mentre il Toro , in casa, è passato in vantaggio con Iago Falque. Il primo sussulto in diretta glielo regala Miranda: colpo di testa e parata che lui definisce “spettacolare” di Skorupsky. Pochi minuti più tardi, quando i minuti sono 14 è Eder a regalargli il primo gol della sua ultima giornata al microfono. “Rete, Eder ha risolto per l’Inter”. Gli istanti passano veloci, tante volte l’Inter ha giocato e giocherà ancora in casa, ma questa è una partita particolare e non son pochi i riflettori, gli sguardi o semplicemente i discorsi che vertono su di lui, che tutto catalizza, con un’umiltà disarmante. “Trentaquattro i minuti trascorsi, Inter 1 Empoli 0, linea a Palermo”, dove, Giovanni Scaramuzzino, è pronto ad accoglierla. “Cinque i minuti che mancano alla chiusura del primo tempo”. Il suo ritmo è sereno e serrato, la sua voce, quasi inaspettatamente, come un elegante destriero, è arrivata alla sua ultima corsa. “E sul duplice fischio di Celi, si chiude il primo tempo”. Nell’intervallo Riccardo si scatena: sembra un bimbo che finalmente ritrova i suoi amici: scatta foto con una fiumana di tifosi, la maggior parte di questi giovani che si accorgono da dove arriva quella voce, che lo guardano come si guarda una rock star. Sembra, a spiarlo, da due fila più sotto, che avesse, da tempo, una gran voglia di viversi un momento come questo. Quando il secondo tempo riprende, annuncia il cambio dell’Inter: (dentro Ansaldi e fuori D’Ambrosio) e dopo aver ribadito il parziale da via, come una palla tranquilla, la linea. Al minuto cinquantaquattro ecco la seconda gioia da comunicare: gliela regala a lui ed all’Inter Antonio Candreva, di destro al volo, divinamente servito, dalla sinistra, da un esterno destro potente dalla fattezza più brasiliana che italiana di Eder. Che strano, con le sue ali l’Inter si è portata sul due a zero e le ali dell’ultimo giorno di scuola Cucchi le vive con nessuna nostalgia, ma con molto entusiasmo. “L’Inter si è portata sul due a zero, questo è successo e noi lo registriamo, al solito oggettivo, al tredicesimo della ripresa”. Intanto, dagli altri campi, piovono gol. Nell’odierna Cucchi house nerazzurra, si rimane sul due a zero per l’Inter. Risultato che non cambierà più e sarà quello che saluterà la carriera radiofonica di un maestro con un nome ed un cognome: Riccardo Cucchi. Quando mancano pochi minuti, come d’accordo con lui preso a fine primo tempo, dalla mia seggiolina rossa mi sposto su, per raggiungerlo, per provare ad immortalare le sue parole ed il suo congedo. Un ressa di steward, addetti alla sicurezza di nero vestiti, è appollaiata lì, ma in punta di piedi mi pongo, di straforo, sull’ultima seggiolina rimasta libera e flettendo le mani quanto più me lo consentono i muscoli lo riprendo, incurante di come male mi guardi la gente lì, e delle frasi, poco ortodosse, che mi piovono addosso. Questo ha fatto Gabriele per molte partite ed ora che è tornato al suo amore chiamato Parma, qualcuno lo deve pur fare. A proposito, Gabriele alla tua maniera credo che sia impossibile farlo, anche perché tu vivei tutta la gara accanto ai vari signori della radio e passavi con loro molti sacchi di sale, ma se così si può dire, con il tuo spirito, ho cercato di andare all’attacco come facevi tu. Perdona l’audio e il frastuono, figli dell’adrenalina e del caos che si era creato attorno ai minuti conclusivi di Riccardo. Come non facciamo e non riusciremmo a fare con la sua voce, non recidere questi frammenti, hanno dentro tutto il mio desiderio di sdoppiarmi e di cercare di essere un po’ Majo, anche se sono semplicemente un giornalista pubblicista che ogni domenica scopre la bellezza di nuove sfide ed ogni giorno culla il grande sogno di essere un giorno, un radiocronista. Oggi però è il giorno del radiocronista romano, che con un cappotto nero lungo e di classe, pareva quasi un direttore d’orchestra in atto di dirigere la sua ultima Carmen. A fine partita, dopo averlo ringraziato per quello spiraglio che mi ha concesso, gli chiedo lumi per una possibile intervista in calce a tutto. Mi dice “Alle sei se riesco ora devo volare giù” Lo attendono le ultime interviste. La folla esce, Pazza inter parte nelle casse del Meazza. Io, infreddolito, mi butto in sala stampa. Non ho nessun recapito per ribeccare Cucchi. Se riuscirò ad incontrarlo, sarà solo per frutto del caso piuttosto sportivo o di una provvidenza particolarmente tifosa di calcio. Mentre seguo la disamina della gara di un piuttosto taciturno Martusciello, mi viene un’illuminazione, improvvisa come l’esterno destro di Eder che ha causato il secondo gol dell’Inter. Decido di non seguire Pioli, mi alzo, esco, corro fuori dall’ingresso stampa ed aspetto Riccardo, anche a notte fonda, anche a costo di prendermi tutto il freddo di Milano. Se è già andato pazienza, altrimenti sarebbe il momento ideale per chiedergli l’ultima intervista. Chissà se si ricorda di me, io non son Gabriele, certo mi ero presentato questo autunno, pedinandolo prima di un Inter-Cagliari alle 12.30 per dirgli del mio provino andato a buon fine al Rischiatutto con materia di gioco Tutto il calcio, ma chissà se si ricorda di me, con tutti quelli che lo fermano, che lo vogliono, che vogliono sapere. Aspetto, agguerrito e speranzoso, mentre grossi caravan portano via tutti i bicchieri ed i piatti che la stampa e la tribuna autorità hanno consumato. Chissà, diceva Guy De Maupassant. Tra un Chissà e l’altro guardo l’imponenza grigia del Meazza e le rampe vuote che conducono al terzo anello. Quante ne hai viste vecchia Scala del calcio, e così oggi hai visto anche l’ultima radiocronaca di Riccardo Cucchi. Chissà, se potessi parlare anche tu, quante ce ne racconteresti! Prima che i mie vaneggiamenti diventino delirio, di lontano scorgo che sta uscendo. Si, proprio lui, Riccardo. Hic et nunc, qui ed ora, devo intervistarlo. Un caso coi pantaloncini ed una provvidenza coi tacchetti si sono dati da fare. Il Cucchi che mi si presenta dinanzi, è una persona diversa da quella che ha appena finito di narrare Inter-Empoli, è un uomo giulivo e rilassato, che se potesse, canterebbe la sua gioia. Non avevo mai visto nessun professionista vivere il suo ultimo gettone con questa felicità. Riccardo è stato felice di smettere oggi pomeriggio perché è stato felice di fare sin dal primo istante questo meraviglioso lavoro, come lo definisce al termine della nostra chiacchierata. Fresco come una rosa su un prato appena appena bagnato, arzillo come un liceale che ha appena sostenuto l’esame di maturità, dove i desideri realizzati lasciano il posto a quelli ancora da realizzare, senza nessuna patetica nostalgia, senza alcun malcontento così comune oggi. Ha 64 anni ma il suo cuore zampilla e scalpita quasi da ventenne. Non riesco a distogliere il pensiero da questa immagine: lui che esce dalla bolgia di San Siro, si accorge di aver scritto un pezzo di storia appena finito e baldanzoso, senza inutili fronzoli, ha già le valigie interiori pronte e scattanti verso altre mete. Solo dai grandi uomini nascono i grandi radiocronisti.

Luca Savarese

Ecco l'intervista alla fine della lunga domenica di Riccardo Cucchi



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