Sebastian Vettel ha vinto sul circuito dell'Hungaroring, qui dove il già quattro volte campione del mondo non era mai arrivato primo. Qui dove i motori hanno rombato, per la prima volta, dopo che Jules Bianchi ha smesso di soffrire, dopo che questo mondo ha riscoperto le lacrime struggenti a due decenni dall'ultima volta, quella del Maestro Senna, il dì successivo al giovane allievo Ratzenberger.
Ha vinto qui, Seb, per l'hurrà numero 41 della sua carriera: il numero a cui al Mago Ayrton non fu consentito di andare oltre.
Qui, in Ungheria, Seb ha regalato alla Ferrari una Domenica felice che in terra magiara latitava da undici anni: 2004, nell'ultimo dei sette mondiali di quel Michael Schumacher per cui inevitabilmente i pensieri continuano a viaggiare fortissimi, senza soluzione di continuità.
Ha vinto, Seb, dedicando il pensiero a Jules, sul traguardo, in mondovisione, a caldo, ad impresa appena suggellata, parlando in italiano, inglese e soprattutto francese. Quello che avrebbe voluto fare quella divinità del volante l'1 maggio 1994, su una Williams, ad Imola, con una bandiera austriaca. Il pilota più titolato del gruppo che onora un giovane che avrebbe avuto il futuro davanti. Magari come compagno di sedile: Jules aveva numeri e talento per comporre il curriculum ideale da prossimo scudiero di Sebastian Vettel. In Ferrari ci giurano, hanno ottimi motivi per essere creduti e per non apparire retorici, sull'onda. Sul podio, affianco al "wunderkind", ecco la prima volta del giovane Kyvat (russo, Red Bull) e di Ricciardo, uno dei migliori amici di paddock.
E' qui il significato profondo di quello che è il secondo trionfo stagionale del Cavallino Rampante, in una gara tra le più entusiasmanti dell'ultimo decennio anche per il contenuto prettamente spettacolare e tecnico, fin dallo scatto memorabile delle due Rosse di Vettel e Raikkonen: dal terzo e quinto posto, abracadabra al primo e secondo, come nemmeno nel più ottimistico dei sogni. Addirittura con una fuga. Addirittura con una doppietta sfiorata e che sarebbe stata ampiamente meritata, diamine per il guasto ad un Kimi caldeggiato dai tifosi rampanti per la conferma nel 2016.
Sebastian, dalla sua, ha disegnato una gara perfetta: qualifica in seconda fila, scatto al fulmicotone, fuga e guida chirurgica in quella decina di giri in cui alle calcagna gli sono comparsi Rosberg e Ricciardo, dopo quel tesoro di vantaggio completamente azzerato. Ed è qui che il grande campione quattro volte mondiale dimostra tutta la sua stoffa.
Felicità rossa, in un periodo di stagione duro per la Scuderia capitanata da Maurizio Arrivabene, in cui le Mercedes si sono allontanate e gli inseguitori si sono avvicinati. Momenti sofferti (non ancora definitivamente alle spalle) che fanno parte fisiologicamente di una crescita di una scuderia che in questo 2015 sta cercando di ricostruire dal deserto e sta gettando le basi. Già centrati gli obiettivi che Arrivabene e Marchionne si erano prefissati lo scorso Natale.
Ci saranno correttivi importanti da apportare, come gli sviluppi a stagione in corso che, cronicamente, da diverse stagioni, non rendono nell'evoluzione delle creature di Maranello. Ma la strada intrapresa per aprire un ciclo nei prossimi anni, è nettamente quella giusta. Per intanto, se per caso capita quella giornata in cui in Mercedes sono troppo pieni di sè stessi (Hamilton ne ha combinate più di Bertoldo), quella deve diventare l'occasione per capitalizzare e in quell'occasione ci deve essere la Ferrari. E così, per ora, è stato due volte su due. Stralegittimando l'opportunità di andare a segno.
Riviviamo il meglio di questo indimenticabile Gran Premio d'Ungheria, con il racconto alla Radio di Giulio Delfino.
E siccome di una gara così vale la pena di non buttare proprio nulla, ecco la radiocronaca integrale di tutti gli interventi da Budapest, in Domenica Sport.
Come si diceva, la Ferrari non vinceva in Ungheria dal 2004. I tempi d'oro di Schumi e Barrichello. Fu una doppietta che consegnò a quel Dream Team, il Mondiale costruttori e la certezza aritmetica che il titolo piloti sarebbe potuto finire solo nelle mani di uno dei due ferraristi. Riavvolgiamo la macchina nel tempo e ci si risintonizziamo al traguardo di quell'arrivo in parata, dentro una cascata di record.
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