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di Marco D'Alessandro - 2014, l'anno nero. Nero di gioia, nel segno di Hamilton che ce l'ha legittimamente fatta. Nero come il buio della Ferrari peggiore dell'ultimo ventennio. Ad Abu Dhabi è calata la notte su un Mondiale controverso, bello, combattuto fino all'ultima gara, ma non indimenticabile. Ha vinto chi ha meritato di più, come la quasi totalità delle gare ha mostrato agli occhi del mondo. Occhi deliziati per Lewis, non però per lo spettacolo generale, da voto 6 di stima. Non è un Mondiale entusiasmante una competizione dove sin dalla prima all'ultima gara, si è saputo chiaro e tondo che salvo imprevisti avremmo assistito a doppiette argentate. Anno nero anche dal punto di vista degli spettatori: in alcuni circuiti europei storici si sono notati ampi spazi vuoti, così come gli ascolti televisivi sono in decisa picchiata. Clamoroso come la Rai, in occasione di qualche diretta in prima serata, sia arrivata a toccare i 3 milioni di ascoltatori: quasi un minimo storico. E se la dobbiamo dire tutta, anche su youtube c'è una grossa emorragia di contatti. Si, le Ferrari sono una perenne delusione, ma non ci si diverte granchè quando l'immagine di questo sport convive con le lotte di potere e con le polemiche: una su tutte, quella sul congelamento dei motori che, oggi come oggi, nel 2015 sarebbero gli stessi di ora. Come diceva l'ormai exmultipresidente Montezemolo, è cosa opposta al concetto di ricerca e sviluppo, scopo base della Formula 1. Tutti contro la spietata Mercedes: i vinti contro i vincitori. Mettendosi nei panni delle parti in causa, ognuno avrebbe le sue ragioni. Sarebbe bello che nelle prossime settimane la battaglia trovasse una soluzione che accontenti tutti. Ovvietà, ma verità: un altro monomarca determinato dal fattore Power Unit non conviene proprio a nessuno. Forse nemmeno a chi vince, ma si ritrova sminuito di meriti. A Zona Cesarini del venerdì, Giulio Delfino ha affrontato la questione motori, in modalità abbastanza terra-terra.
Ed è stato, forse, un Mondiale non bellissimo anche perché Hamilton ha avuto in Rosberg un buon rivale, ma non del suo valore. Non si può parlare di scontro tra titani come quello tra Senna e Prost, ma di quello tra un ottimo autista e un talentuosissimo pilota. Il bravo e simpatico biondo ha corso un buon campionato, ma anche nell'ultimo atto non è mai stato davvero in grado di impensierire il compagno-rivale e s'è impappinato nell'unico frangente di momento che avrebbe potuto sorridergli o, per lo meno, giocargli a favore. Nico si è fatto valere 11 volte di Sabato, Lewis 11 volte di Domenica. Per il tedesco sembrava un buon piano: la pole, con due Williams da guardarsi alle spalle per il rivale tradizionalmente suscettibile agli istinti pericolosi.
Tanto sforzo per nulla. Neanche il tempo di arrivare alla prima curva, perchè tutti i residui sogni di gloria rosberghiani s'annebbiano allo spegnersi dei semafori, con uno scatto meno bruciante di una zia Wanda che guida col cappello. Ed Hamilton saluta sfrecciando verso il suo bis iridato. La gara di Nico diventa perfino un'agonia, perchè quando non ne gira bene una, succede anche che le macumbe prodotte in una decina di giorni per fermare l'inglese, si sia ritorcono contro. Dei problemi all'ERS (un aggeggio che serve all'utilizzo e recupero dell'energia cinetica) affliggono la sua monoposto, la sua corsa diventa un'agonia terminata solo con la bandiera a scacchi. Nico ha comunque cavallerescamente accettato il verdetto e omaggiato il successo iridato di Lewis, per una chiusura molto degna di una battaglia che ha vissuto anche punti bassi nel corso della lunga pellicola. I tanto temuti punteggi doppi non hanno pasticciato nulla di nulla: pericolo scampato, ma che non si ripeta mai più. Applausi per il secondo posto di Massa, in un'annata che lo ha riscattato da troppe parole gratuite che un po' tutti abbiamo speso sul suo conto. Curioso l'incrocio proprio tra l'inglese e il brasiliano, su cui ovviamente quel gran bel masochistone di Delfino riapre la ferita. Ma le corse, ironia a parte, sono amate anche per i suoi intrighi nei destini.
Da contraltare alla meritata festa con bandiera Union Jack al vento, le nostre tristissime Ferrari al nono e decimo posto, in un momento caotico. La prima stagione senza vittorie dopo 21 anni. L'ultima, ora ufficialmente sancita, di Fernando Alonso. Diceva giovedì Giulio Delfino in Zona Cesarini, finalmente inviato sul posto: "Si lasciano da innamorati". Ci sembra difficile pensare che lo spagnolo e il cavallino si siano lasciati volendosi bene per davvero, di fronte ad un contratto sciolto con un anno d'anticipo e un rapporto fin troppo logorato da anni con momenti emozionanti, ma anche tormentati per poter parlare di vero amore. La spigolosità del carattere e delle dichiarazioni di Alonso non sono state quelle di un fidanzamento tra innamorati folli, ma quelle di una suocera pesante, seppur con il fisico di una modella da 90-60-90. Dopo l'amaro finale 2010 in cui il legame era ancora autentico, la Ferrari non è riuscita a soddisfare l'indubbio talento del suo straordinario alfiere, ma è un'ovvietà che ci siamo raccontati troppo superficialmente in questi anni, senza approfondire e proteggere come mai accaduto in tutta la storia per un pilota ferrarista. Perché un pilota con intenzioni da leader ferrarista, deve viaggiare sulla stessa direzione del suo team e non puntare continuamente e pubblicamente il dito ergendosi a vittima, consegnando i colpevoli in pasto alla critica. Michael Schumacher vinse cinque titoli Mondiali, ma dovette attendere cinque lunghi anni in cui ne ha vissute di tutti i colori, senza mai creare crepe e fratture all'interno della Scuderia, sempre protetta e difesa in accadimenti anche peggiori di quelli vissuti dall'asturiano. Schumi rappresenta l'esatto contrario di quello che è accaduto con Fernando Alonso, tra dichiarazioni pesanti e sempre sul filo della mancanza di rispetto (e sono stati tanti i bocconi che abbiamo mandato giù, per essere elencati). Per ultima, proprio l'ultimo inutile botta e risposta di sabato con Marco Mattiacci, sul rinnovo del contratto e l'ingaggio di Vettel. Un carattere più egocentrico e distruttivo che generoso e costruttivo. In una squadra come la Ferrari non basta solo il talento puro, per fare la storia. Fernando non la fa dal 2006, dalla Renault di Flavio Briatore. Per il resto, addii con cocci di vetro con McLaren e Ferrari. Anzi, non addii, ma arrivederci, come nel caso del team di Woking che ritroverà dopo il 2007 e la Spy Story: alla faccia della coerenza, viene da dire. L'ultima volta di Alonso con la Ferrari è tanta apparenza e pochi reali sentimenti. Negli ultimi mesi non lo si è mai visto sorridere così tanto come ad Abu Dhabi. Molta la voglia di apparire di fronte ai tifosi con i messaggini e le twittate. Peccato che lo spagnolo, da mesi, abbia improvvisamente interrotto la comunicazione con i tifosi italiani della Ferrari, scrivendo solo in inglese e spagnolo, ricordando che il meglio deve ancora venire, tirando altri schiaffoni virtuali. Afferma che rimarrà un tifoso della Ferrari: chissà se si ricorderà, tra un annetto, o alla prima scintilla in pista. Prima di guidarla, quella Ferrari, molto arrogantemente nel 2006 la etichettava come il male della Formula 1 che senza Schumacher sarebbe stata uno sport migliore. Tanti tifosi della Domenica lo acclamano e si stracciano le vesti al suo saluto da Maranello: tanti altri, gli appassionati veri e malati quotidianamente del Cavallino, ritengono di essersi liberati di un peso, seppur grandissimo manico, ma troppo autoreferenziale.
Bassa la considerazione ferrarista di un'altra gara talmente tanto dimenticabile che sia la regia televisiva che la radiocronaca, non hanno nemmeno il tempo di ragguagliare su dove caspiterina siano finite le due Rosse, talmente lente che sono state segnalate durante l'Onda Verde come ostacolo pericoloso nelle tangenziali, manco fossero cinghiali che sbucano attraversando la strada. Alonso e Raikkonen hanno tagliato il traguardo durante il fischio d'inizio di Milan-Inter. Più che Cavallini, purganti per cavalli.
Nella difficile risalita che attende la Ferrari nei prossimi anni (si, è il caso di parlare al plurale), c'è il sogno di Sebastian Vettel che ha concluso il suo storico e mitico ciclo con la Red Bull: 4 titoli piloti, 4 costruttori. Secondo solo a quello ferrarista del suo mito d'infanzia Michael Schumacher. Proprio nel segno dell'idolo Kaiser ha scelto il Rosso, nonostante oggi un tedesco possa legittimimamente sognare una Mercedes, rispetto ad una Ferrari mal ridotta. Più grande la gioia nel poter guidare quella macchina, che preoccupazione per lo stato di questa Ferrari, ha detto. Sono parole dal quale ripartire, perchè testimoniano del patrimonio d'immagine che è stato creato nella storia e che non ridimensiona l'immagine di un marchio leggendario, anche se vive un'epoca sportivamente magrissima. La Ferrari ha saputo colmare in tempi immediati l'eventuale vuoto della partenza di Alonso (che deve ancora ufficializzare l'approdo in McLaren-Honda) assicurandosi un asso che negli anni non ha mai nascosto il desiderio di arrivare a Maranello. In questa rubrica ci piace poter dire che, 12 mesi fa, esaltammo il poker iridato del tedeschino, dissociandoci da giudizi dettati dal tifo che, in questi suoi meravigliosi anni di Red Bull, hanno un po' coinvolto anche Giulio Delfino. Scrivevamo qui, all'indomani della vittoria in India, di aspettarlo, un giorno, alla sfida della Ferrari, per la sfida di riuscire a vincere con due scuderie diverse, rendendosi campionissimo. Quel momento è finalmente arrivato, dopo il primo anno deludente della sua carriera, ma è bene precisare che non esiste pilota che non abbia mai avuto annate dure: si è parlato troppo dei confronti persi con l'ottimo Ricciardo, ma quello di Vettel coi "bibitari" era un ciclo ormai esaurito e scarico, oltre ad essere stato annichilito dai nuovi regolamenti. La Ferrari vivrà cambiamenti profondi nella squadra, sperando di farla tornare ad essere un tutt'uno e di riacquistare credibilità a livello politico: nascerebbe sotto questi auspici l'ingresso di Arrivabene (alta carica della Philip Morris) come nuovo capo della Gestione Sportiva, che pare verrà annunciato nelle prossime ore in sostituzione di Marco Mattiacci, in uscita dopo appena 7 mesi in cui, si presuppone, avrà avuto compiti temporanei e non definitivi. Si tratta di ritornare a correre veloce sulle strade del mondo e di ricostruire i mattoni di una scuderia che dal mondiale 2014 ne esce con le ossa rotte e con il più basso dei voti in pagella: talmente basso che nessuno, ma proprio nessuno, può immaginare di lottare per il Mondiale nell'anno che verrà.
Siamo all'epilogo dell'annata. Dopo aver ringraziato quei lettori che hanno avuto la pazienza di seguirci e Massimo Verona per aver ospitato questa rubrica, le ultime righe le vogliamo spendere per due personaggi che hanno occupato l'annata di pensieri degli appassionati più di ogni altro. E' stato il 2014 che è nato poche ore la tragedia di Michael Schumacher sulle nevi di Meribel. Ed è stato il 2014 che si è chiuso con la fitta nel cuore per le sorti di Julies Bianchi. Piano piano, giungono notizie rinfrancanti sulle loro delicatissime condizioni. La speranza dei prossimi mesi, mille volte più importante dell'auspicio che le scuderie facciano il loro lavoro sulle prossime monoposto, è che possano continuare a combattere, passo dopo passo. Forza Michael. Forza Jules.
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lunedì 24 novembre 2014
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