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di Marco D'Alessandro - Una Domenica di malinconia e di valori, dalla Radio alla Formula Uno. Da Sochi a Livorno. Dalle quattroruote a motore alle due gambe a sudore. Domenica 12 Ottobre 2014 pone la fine di qualcosa che ha scandito attimi di vita, non solo sportiva. Con l'intermezzo della speranza irriducibile per chi è in coma. Tutto coincide. Con ordine.
La Formula Uno per la prima volta sbarcava in Russia, ma ad una settimana da Suzuka le menti di tutti sono ancora ferme e scioccate al pensiero d'angoscia per Jules Bianchi. Si è già ripreso a correre, ma è come se quella bandiera rossa che interrompeva la gara, sia stata esposta cinque minuti fa. Si incita, si tifa e si discute. Perché il modo con cui la FIA sta analizzando la terribile vicenda, non riesce a convincere. Non convincono le spiegazioni del direttore di corsa che sarebbe il primo processabile ma che diventa il capo di chissà quali indagini nel quale l'unico obiettivo sembra mettere la testa sotto la sabbia, facendo sparire le riprese ed inventandosi bugie colossali sul fatto che delle riprese televisive non siano mai esistite. Dissero le stesse cose proprio 20 anni fa, sulle immagini della camera car di Ayrton Senna ad Imola. Meglio non proseguire. Meglio far credere che nessuno abbia una minima colpa se un povero ragazzo va a scontrarsi a 200 km/h contro una gru piazzata su una via di fuga asfaltata. Una settimana fa, divorati dall'emotività, rinunciammo a pubblicare una radiocronaca di quel che è stato il Gran Premio del Giappone. Lo facciamo ora, riascoltando integralmente Giulio Delfino ed anche nel servizio andato in onda in coda alla Domenica, nel Giornale della Mezzanotte. Una fatalità che si doveva evitare. Sintesi perfetta.
Jules Bianchi è in coma e i danni assonali al cervello sono fin troppo gravi per incoraggiare. Si teme sia necessaria una nuova operazione. Mentre continuiamo tutti a tenere le dita incrociate, la Marussia decide di non sostituire il pilota e nel box rimane contrassegnato il suo posto, come se fosse presente, lo stesso, assieme con tutto il gruppo, con la sua Marussia numero 17. Tutto il movimento della Formula Uno torna in pista per lui, con adesivi, scritte, messaggi e quant'altro. E' in questo clima che il weekend russo cerca di entrare nel vivo nel sabato in cui le Mercedes prenotano, al solito, la pole position.
La Domenica di Grande Madre Russia si risolve in una curva, la prima. Quella in cui Rosberg dimostra per l'ennesima occasione di non essere ancora un pilota da titolo Mondiale. Brucia inizialmente Hamilton allo scatto ma fallisce l'approccio alla prima curva, frenata lunga e spiattellamento delle gomme: da lì una gara di rincorsa, con un pit stop obbligatorio immediatamente al primo giro. Ed Hamilton può pavoneggiarsi per la quarta gara consecutiva e volare a +17 dal rivale che ha potuto rimontare, in gara, dall'ultimo fino al secondo posto, mostrando l'ennesima dimostrazione di superiorità assoluta. Per la Mercedes è l'ennesima doppietta, sufficiente per abbassare la saracinesca sul Mondiale Costruttori, il primo della sua storia da scuderia (nel 1954 e 1955 non esisteva anche la classifica dedicata ai team) e il primo titolo dal ritorno della casa di Stoccarda da squadra vera e propria. Peccato, e qui una piccola tiratina d'orecchie, che in diretta Giulio Delfino non abbia segnalato il verdetto, in realtà mai troppo considerato, ma pur sempre un riconoscimento. Tutto questo in un giorno storico per la Ferrari, annaspante anche a Sochi. Era l'ultimo giorno del ventennale ciclo targato dal presidente Luca Cordero di Montezemolo (1991-2014). L'ultima gara, l'ultima Rossa, l'ultima bandiera a scacchi di un modo di intendere e gestire la Ferrari che ha scritto la Storia e si è sposato con la Leggenda degli sport motoristici. Fine di un ciclo difficilmente eguagliabile. Fine di una gestione che è stata celebrata nella settimana, a Maranello, con un discorso del Presidente uscente che ha toccato tutte le corde emotive dei commossi dipendenti della Ferrari, segno della bontà di una gestione che ha portato il Cavallino alla ribalta della stima internazionale, sia sportiva che commerciale. E' diventato quello della Ferrari il marchio italiano più famoso del Mondo, è diventato quello della Ferrari il luogo di lavoro che viene definito il migliore, dopo aver vissuto i primi anni Novanta sul filo della cassa integrazione. Montezemolo è stato il Presidente della Ferrari ma soprattutto di tutti i ferraristi. Presidente e primo tifoso. Padrino di tutti i suoi piloti prima ancora che datore di lavoro. Erede di Enzo Ferrari, ha continuato a nutrire un meraviglioso sogno rosso che sembrava destinato al tramonto dopo la morte del suo fondatore. Leader carismatico di una Ferrari dream team, guidata dalle menti di Jean Todt, Ross Brawn e Michael Schumacher per citare solo tre nomi. Da domani sarà davvero un altro giorno, con un nuovo Presidente che avrà enormi gatte da pelare per continuare e riprendere una strada interrotta negli ultimi anni sportivi decadenti, per cui Montezemolo è stato sfiduciato e forse neanche con tutti i torti. Sergio Marchionne dovrà prima di tutto mantenere l'anima di questa Scuderia, prima ancora del freddo calcolo della vittoria. La Ferrari è sempre stata pronta a tutto, anche a soffrire le maggiori pene sportive, anche a passare i decenni senza vincere nulla. Ma prima di ogni altra cosa dovrà continuare ad esistere e a farsi riconoscere anche se le cose non dovessero andare meglio. Con il sangue modenese e con l'emozione vibrante al solo pronunciarne il nome. Da domani sarà un altro giorno. Non lo sarà più con Fernando Alonso e ormai tutti lo sanno. Le prossime tre settimane che ci separano dal prossimo Gp degli Stati Uniti, dovrebbero svelare tutta la verità sul futuro e la fisionomia delle prossime scuderie. La Ferrari aspetta solo il momento opportuno per poter annunciare Vettel, Alonso con grande probabilità si accaserà alla McLaren-Honda, anche se c'è chi ammetterebbe quote sulla possibilità di un anno sabbatico per prenotarsi un posto in Mercedes nel 2016: uno come lui, in una decisione del genere, ci stupirebbe e non poco. Nel frattempo, fa di tutto per far venire la malinconia ai tifosi ferraristi e anche al radiocronista, che non si sottrae all'elogio dell'ennesima gara con il coltello tra i denti del Matador di Oviedo, al contrario di quella "come sempre anonima" di Raikkonen.
Le 118 vittorie della Ferrari della presidenza Montezemolo sono state raccontate da più radiocronisti: Gianfranco Mazzoni, Giulio Delfino, Emanuele Dotto, Paolo Zauli, Francesco Repice e... Ugo Russo. Proprio Ugo. Dulcis in fundo. L'uomo della Domenica che ha fatto sussultare i cuori di tutti noi ascoltatori per la sua ultima radiocronaca in carriera e che sta dominando letteramente il giro del web e dei principali organi d'informazione. In questi anni abbiamo avuto modo di scrivere tanto sul radiocronista Ugo e quanto sia riuscito a farci divertire con i suoi racconti e la sua voce festosa. Abbiamo conosciuto la sua tremenda storia in cui nel 2011 vide la morte in faccia, proprio a Livorno prima di una radiocronaca, rimanendo per alcuni giorni in coma. Il suo ultimo servizio è un messaggio forte, non solo di passione imprescindibile per il proprio lavoro, ma anche di vita. Ugo è un uomo che ce l'ha fatta e ha potuto lavorare fino all'ultimo giorno. Tutto il calcio è una famiglia più d'una trasmissione e la cosa si sente nitida. La scelta di fargli effettuare la sua ultima radiocronaca proprio a Livorno e da campo principale, i colleghi degli altri campi che "firmavano" gli interventi del collega ("Grazie Ugo Russo, a te Russo, scusa Russo") più delle altre volte, Filippo Corsini che gli concede una standing ovation nei minuti conclusivi e idealmente gli da una pacca sulla spalla ("vai tranquillo, dai!") mentre crolla nel suo umanissimo pianto che non riesce proprio a frenare. Il congedo di Ugo Russo ha ricordato quello di un campione che proprio Ugo ha amato tanto, vale a dire Alessandro Del Piero: il fatto sportivo che passa in secondo piano, in questo caso il più che roboante Livorno-Trapani 6-0, per il giro di campo del campione che raccoglie l'applauso collettivo. Una vita dedicata alla radiocronaca e allo sport, probabilmente il mestiere più bello del mondo. E' il segno che volge al termine un'epoca di un certo radiocronismo di orizzontalizzazioni, guardia dei pali e cerniera di centrocampo. Ed anche di quei cronisti che non si sono fermati al solo racconto del pallone, ma hanno saputo descrivere tutto lo sport. Abbiamo amato Ugo come radiocronista eclettico, come conduttore, come inviato e come enciclopedia sportiva.
E, si, ha anche avuto modo di farsi ascoltare in Formula Uno. Lo ricordiamo presente in tre circostanze, e che circostanze: a Barcellona nel 2001, in una gara dal "clamoroso epilogo", con la McLaren di Mika Hakkinen che si ritirava proprio all'ultimo giro; a Montecarlo nel 2004 (ma da studio) per la storica vittoria italiana dell'abruzzese Jarno Trulli, quando guidava la Renault (nella storia monegasca, fino ad allora, era capitato solo a Riccardo Patrese di portare il nostro tricolore al primo posto); al Nurburgring nel 2004 (ancora da studio) per un'altra delle 91 vittorie di Michael Schumacher. Abbiamo pochissimo in archivio, purtroppo. Ma ce lo facciamo bastare, perché è un documento che fa capire come da una briciola, Ugo è stato un cronista che riusciva a tirarne fuori delle perle. Era un sabato di qualificazioni al Nurburgring, era in onda la pagina sportiva del Gr1. Ai tempi la pole si assegnava in due (noiose) sessioni da un'ora ciascuna: prequalifiche e qualifiche, con i piloti che affrontavano il proprio giro in fila indiana, uno alla volta. Accadeva che proprio in quel momento scendesse in pista Michael Schumacher, nella prima ora. Ugo è in studio, non è un momento sportivo di particolare significato, non ha neanche un minimo di sottofondo da rombo dei motori. Un momento quasi nullo. Eppure, ascolterete come attraggano l'attenzione la sua enfasi e la sua capacità di far vibrare il microfono e di condire il racconto con gli aggettivi e le espressioni, riuscendo anche prendere tempo evitando le pause. Questo, proprio questo, è stato il radiocronista Ugo Russo. Spettacoloso.
In un momento così delicato come quello del coma di Jules Bianchi, ci piace poter pensare proprio all'esempio della tempra di Ugo Russo. Un esempio di radiocronista, ma anche di vita. Grazie davvero di tutto, grande Ugo.
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lunedì 13 ottobre 2014
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