Il
25 giugno di quattro anni fa, su questo sito, mi toccò commentare
un’eliminazione prematura della nostra Nazionale. Feci un commento molto duro,
forse andando leggermente oltre i termini dell’obiettività, su una squadra e un
ct che però erano arrivati alla fine di un ciclo. Un ciclo che ci aveva visti
sul tetto del mondo quattro anni prima, quindi un ciclo fruttuoso; si parla,
quindi, di giocatori che hanno fatto davvero la storia del nostro calcio.
Quattro
anni esatti dopo, mi tocca scrivere ancora di un disastro. Non lo avrei mai
detto, né quattro anni fa, né dopo Euro 2012, eppure sono ancora qui a scrivere
della seconda eliminazione consecutiva della Nazionale alla prima fase: non
accadeva dal 1962 – 1966, quando peraltro si chiuse un ciclo di cinque mondiali
con quattro eliminazioni ai gironi e una mancata partecipazione. Insomma, il
periodo più nero del nostro calcio, drammaticamente emulato negli ultimi due
tornei iridati. E, stavolta, senza attenuanti: il signor Prandelli, che ieri ha
avuto il pudore di dimettersi (di Abete neanche parlo: doveva sparire dal calcio
almeno dieci anni fa), ha fatto un percorso tremendamente simile a quello di
Lippi, sia nel primo biennio sia nel secondo, ma senza né portare a casa un
trofeo (a Euro 2012 si saziò dopo la Germania, mentre Lippi avrebbe voluto la
Coppa anche uscendo morti dal campo), né senza l’attenuante di una pausa di due
anni e di una squadra a fine ciclo. Hai voglia di riempire di colpe Balotelli
(su cui faremo un piccolo discorsetto finale): l’ex Cesare nazionale è
l’artefice principale di questo disastro da cui, a differenza di quattro anni
fa, sarà difficile ripartire.
E’
incredibile la metamorfosi prandelliana e, di conseguenza, della Nazionale, nei
due bienni. Nel primo biennio, anche la più insignificante amichevole
divertiva, con gli azzurri che bombardavano di conclusioni in porta qualunque
avversario (fino alla semifinale europea, ovviamente). E la difesa era una
difesa di ferro, anche quando i Chiellini e i Bonucci non erano nel loro
momento migliore. Poi è arrivata la disfatta di Kiev, quando perdemmo contro
una Nazionale che aveva convinto molto meno di noi (e che quest’anno è
naufragata come noi oggi e quattro anni fa): da allora, quel divertente calcio
prandelliano non si è più visto, se non a sprazzi e comunque non in questa
stagione. Lo dimostrano i numeri: a parte il San Marino e la Fluminense, non si
vince un’amichevole seria dal 2-0 in Polonia del 2011, e in questo lasso di
tempo sono arrivate le umiliazioni con Haiti e Lussemburgo; dopo la
qualificazione anticipata al Mondiale, un solo (sopravvalutato) successo
sull’Inghilterra, poi solo pareggi e sconfitte; i gol presi in questo biennio,
incredibilmente raddoppiati, forse pure triplicati rispetto ai primi due anni.
E i tiri in porta: praticamente solo uno o due a partita: succedeva anche in
SudAfrica. Ne deriva un biennio andato meglio di quello 2008-2010, ma solo per
una ragione: gli errori sottoporta del Giappone il 19 giugno 2013 in
Confederations, altrimenti era pari a quello sudafricano. Se c’è una cosa che a
Cesare non è mancata, è la fortuna.
Ma
quali sono le reali colpe di Cesare? Molteplici. Le mancate convocazioni di
Mattia Destro e Giuseppe Rossi, a favore di uno spento Insigne, sono solo la
punta dell’icerberg, il culmine di un biennio dove Prandelli ha sbagliato
tutto, a partire dall’applicazione del codice etico, che ha finito per creare
perplessità e complottismo nella tifoseria azzurra che, quattro anni fa, si era
distaccata dalla Nazionale per molto meno. E che ha sicuramente creato
scompensi nel gruppo, a partire dal diverso trattamento di Criscito e Bonucci
prima di Euro 2012, passando per i casi, mal gestiti, di Balotelli, De Rossi,
Destro, Chiellini: quattro casi, due pesi e due misure. E quel commissario
tecnico inattaccabile del primo biennio, è diventato nuovamente oggetto a critica
di parzialità, da cui non si è mai saputo difendere neanche a parole: come
comunicazione, il peggior ct della nostra storia per distacco. Dalle
dichiarazioni sul ritiro della squadra dall’Europeo a quelle ironiche sui tweet
anti-codice etico, ogni volta che ha aperto bocca ha peggiorato la sua
reputazione, poi completamente rovinata dal campo: squadra senza gioco, senza
idee, che fa appello ad un (meraviglioso) veterano che, da solo, non può far
niente. E’ inutile cercare spunti se i terzini non si muovono, se Balotelli
resta fermo, se il movimento è pari a zero: bisogna a questo punto sperare
nella solita maledetta, ma se non attacchi non guadagni neanche le punizioni,
caro Cesare. Si sarebbe potuto portare Mattia Destro, ma niente… Quindi meglio
Insigne, anche se poi gioca solo mezz’ora, e male, e comunque mai con Verratti
e Immobile, quest’ultimo mai in condizione di incidere. E la difesa ha
continuato a subire palle gol con straordinaria facilità, e poco importa se hai
Buffon tra i pali, se poi Chiellini rischia rigori a gogò e Bonucci si perde
Godin… Cesare, due anni fa, riuscì a by-passare (sempre fino alla semifinale, è
bene ricordarselo) le pecche difensive. In questo biennio, mai. Perché? Perché
tanti passi avanti e poi altrettanti indietro? Perché questo cullarsi sugli
allori? Non era forse il Brasile il vero obiettivo della Nazionale, dopo il
naufragio sudafricano?
Queste
le colpe di Cesare. Ora andiamo a quelle dei giocatori. Per loro non vale il
discorso dell’intero biennio fatte con Prandelli; per loro, ma soprattutto per
qualcuno di loro, preferisco circoscrivermi al solo Mondiale. Ieri Buffon e De
Rossi hanno attaccato, neanche troppo implicitamente, Balotelli. Sì, ok, ma
occhio a fare lo scaricabarile, anche se sicuramente (per me ex) SuperMario era
la stella, era alla prova del nove in questo torneo. Doveva diventare un
grandissimo campione, invece si è avverata la profezia di Mourihno nel 2009:
sono passati cinque anni e ancora ci chiediamo quando crescerà! E dopo ieri
sarà difficile, per lui, tornare nel gruppo azzurro. Come, probabilmente, non
ci tornerà più Cassano. Ma in questa Nazionale ci sono anche i Chiellini e i
Bonucci, e, carattere a parte, per loro il discorso non è tanto diverso da
quello di Balotelli, anzi è anche peggio, perché, a differenza dell’ex City,
vincono, e tanto, in Italia. Ma su di loro si abbattono sempre quelle velenose
critiche (anche del sottoscritto, a volte), che tendono a sottolineare alcuni
atteggiamenti in campo (tattici e, nel caso di Giorgio, tecnici e
comportamentali), mettendone in discussione la reale consistenza dei loro
successi. Se Giorgio Chiellini, Leonardo Bonucci e Mario Balotelli si fossero
chiamati Fabio Cannavaro, Marco Materazzi e Francesco Totti, avrebbero detto:
“ora zittiamo le critiche di quei provinciali degli italiani, facciamo vedere
che valiamo veramente cento, andiamo a vincere”. O quantomeno a fare bella
figura. Invece abbiamo visto un Chiellini sbagliare di tutto, rischiare rigori,
perdersi Ruiz e lamentarsi poi degli arbitraggi (unico tra gli azzurri a farlo
ieri: soprassediamo…). Bonucci si è giocato il posto fin dal Lussemburgo e ieri
pensava alla bellissima fidanzata mentre Godin infilava il gol-qualificazione
dell’Uruguay. Balotelli ha fatto il Balotelli: poca luce, tantissimo buio.
Probabilmente sarà l’unico a pagare, con Cassano, per questa brutta figura, ma
l’assenza di voglia di rivalsa positiva per tutti e tre i giocatori è
inaccettabile: i loro detrattori, ora, hanno un grandissimo alibi…
Personalmente,
metto nell’occhio del ciclone anche De Rossi, che nel secondo tempo con il
Costa Rica si è perso, anche lui, nella mediocrità azzurra: è un calciatore,
purtroppo, che funziona bene solo quando funziona bene il gruppo, come palesa
anche alla Roma. Scaricare il barile non va bene: bisogna guardare anche nel
proprio orticello, ogni tanto… Sul resto dei calciatori poco da dire, con
Marchisio costantemente messo fuori ruolo da Cesare, come facevano a suo tempo
Delneri e Ferrara alla Juventus, ma che comunque ci ha messo cuore e anima e
che ieri è stato ingiustamente espulso (ma non abbiamo perso per quello, cari
Cesare e Giorgio). Pirlo ha fatto il Pirlo, come accennavamo poc’anzi, ma nella
solitudine più nera, cosa vuoi combinare? Scartare tutti alla Maradona? Andrea
ci mancherà: ieri ha dato l’addio a 21 dei 22 compagni di disavventura
(Balotelli, anche lì, si è fatto riconoscere). Uno dei più grandi
centrocampisti del nostro calcio ci lascia: chapeau.
Nel
suo ruolo, c’è già il futuro: Marco Verratti. Unica nota positiva di questo
Mondiale grigio. Da cui sarà difficile riprendersi, stavolta. Probabilmente
andremo a Euro 2016 solo perché la nuova formula garantisce otto qualificati in
più... Chiunque prende il posto di Cesare, sa che non solo dovrà sudare, ma
dovrà capire che il piano sarà quadriennale e non biennale. L’errore che ha
commesso Prandelli due anni fa, quando pensò che andava bene così, iniziando a
cullarsi sugli allori nei due anni successivi. Un risultato, quello di Euro
2012, che ci ha fatto più male che bene. E con la beffa di aver perso malissimo
la finale: la parabola discendente prandelliana è incominciata proprio lì.
Finisco
questo articolo con una dedica non da me: non amo la retorica, però mi piace
l’idea di dedicare questo post allo scomparso Ciro. Forse non era proprio un
innocente in quella maledetta sera del 3 maggio (le cose si dicono come stanno:
non passava di lì per caso), però da oggi è un simbolo, di un calcio italiano
allo sbando, ostaggio di violenti e dei soliti potenti. E questo calcio
italiano, va lo stesso abbraccio che dedichiamo alla famiglia del povero ragazzo.
Con la differenza, non da poco, che nessuno restituirà a loro Ciro. Che i
colpevoli, ma proprio tutti, paghino. E che sia lo spunto per un cambiamento
nel sistema (non solo calcistico) italiano che, però, probabilmente non
arriverà neanche stavolta.
Grazie a tutti e chiedo scusa
per il mio forfait Mondiale, che purtroppo non dipende dal sottoscritto. Un
ringraziamento a Raibobo per avermi comunque permesso di giocarmi, anche se in
maniera “monca” quanto gli azzurri, il mio secondo Mondiale su questo
meraviglioso blog.
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