di Roberto Pelucchi
Sergio Zavoli, 87 anni, è stato tra i fondatori di Tutto il calcio minuto per minuto, oltre che un prezioso giornalista della Rai, uno di quelli che mancano così tanto nella televisione di oggi. L’articolo che vi propongo è uscito sulla Gazzetta dello Sport il 20 luglio 2003 a firma Elisabetta Esposito: Zavoli ricorda l’amico Sandro Ciotti.
Tanti anni passati insieme, tra Giri d'Italia e Tour de France. Sandro Ciotti e Sergio Zavoli. Amici veri, di un genere raro per questo mondo avido e frenetico. Così la morte dell'uno finisce col pesare come un macigno sulla vita dell'altro, che oggi quasi si sente in colpa per essere rimasto qui. «Si rimane attoniti di fronte ad un tale privilegio, lui va e io resto. Pensavo che di quella straordinaria redazione sportiva della Rai messa su da Vittorio Veltroni siamo rimasti in pochi. La parte migliore se n'è andata e quelli che come me si ritrovano ad assistere alla scena, rimangono privi di punti di riferimento importanti. Sandro era il mio».
La voce trema e Zavoli alterna le parole a lunghe pause e profondi respiri. Sandro Ciotti gli manca già troppo per non piangere. «Mi ricordo le nottate passate insieme durante i Tour o i Giri. Lui si metteva al pianoforte e suonava Night and Day. Era la mia canzone preferita. Adesso la notte non ha più senso, perché dov'è ora Sandro c'è sempre una luce infinita. Lui non era un credente bigotto, anzi, come me lasciava ampi margini ai dubbi e aveva una profonda nostalgia della fede vera». Le parole di Zavoli rivelano un Ciotti diverso da quello cresciuto nell'immaginario collettivo, quello tutto Chesterfield e calcio, con una forte passione per la bella vita. «Era una persona molto complessa e gli si fa un torto nel definirlo semplicemente "la Voce". Lui era molto altro. Alternava interessi sofisticati e rigorosi a quelli più semplici e popolari, andava da Maria Callas a Bruno Martino, da Karl-Michael Schneider a Carlo Alberto Rossi, da Gabriele D'Annunzio a Carlo Emilio Gadda. Tutte scelte felici, culturali, mai frutto dell'effimero e del mondano. Sandro aveva una bellissima biblioteca, piena di testi su Roma, a cominciare da Trilussa che lo aveva tenuto a battesimo. I suoi genitori erano dei veri amanti della romanità e dal punto di vista calcistico non si può negare una certa predilezione per la Roma».
Quello che mancherà di più allo scrittore di Ravenna sono le lunghe chiacchierate con il suo amico. «Non parlavamo molto di sport, come tanti possono pensare. I nostri discorsi riguardavano soprattutto le questioni più importanti della nostra esistenza. Credo che il suo unico rimpianto sia stato quello di non aver avuto un figlio, il solo motivo per cui avrebbe capitolato alla vita di coppia che definiva "un terno al lotto". Era uno spirito inquieto, un fuggitivo, scappava anche da se stesso sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo da scoprire e conoscere. Forse non l'ho mai visto completamente appagato, anche se nel suo mestiere dava l'anima».
E Zavoli lo conosceva molto bene pure da questo punto di vista: «Carosio era ripetitivo, approssimativo e ridondante, Sandro era asciutto, preciso e geometrico. Carosio rimaneva spesso a secco di parole, Sandro era fluviale e non si rifugiava mai nella fantasia. Era il più eclettico dei cronisti, si intendeva di calcio e di ciclismo, di teatro e di poesia, di violino e di biliardo, di donne e di tabacco, di camicie e di polsini. Aveva una costanza incredibile e poi la voce... Ce l'aveva anche Luis Armstrong ed entrambi sono diventati grandi nel loro mestiere. Ricordo che all'inizio della nostra carriera ci guardavamo negli occhi e, senza farci vedere da nessuno, dicevamo che quel lavoro l'avremmo fatto anche senza essere pagati. Ciotti è stato unico: arguto, ilare, pieno di disincanti e di ironie, lontano mille miglia dalla retorica, non ha mai vacillato di fronte ad un congiuntivo. Tarderà a nascere un altro cronista come lui, se mai nascerà. Se poi penso a quello che è oggi la radio... meglio non parlarne, dico solo che la botte dà il vino che ha».
Zavoli ha soltanto un rammarico: «Non sono mai riuscito a strappargli di bocca neanche una sigaretta. Ha fumato fino all'ultimo perché era fatalista. Diceva che ognuno ha la morte che si merita e che se noi ci facciamo del male c'è sempre qualcuno pronto a darci del bene e rimettere le cose in pari. Ci sono un'infinità di ricordi che senza di lui non riuscirò più ad evocare. Era generoso, direi esagerato nel suo modo di voler bene. Mi diceva che ero il miglior giornalista d'Italia, io ho sempre cercato di dissuaderlo ma lui amava crederlo. Era un uomo buono. E mi mancherà moltissimo».
Elisabetta Esposito
#TICBemozioni
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mercoledì 9 febbraio 2011
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