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Il Palinsesto sportivo di Radio1Rai

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MERCOLEDI' 27 NOVEMBRE 2024
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mercoledì 7 aprile 2010

Un passo nella storia - Episodio 18

Era più bravo Ameri o Ciotti? Faceva più papere Foglianese o Luzzi? E, adesso, fa "sognare" di più Repice o Cucchi? Sono domande a cui è difficile rispondere, perché ogni radiocronista ha un suo stile, un suo modo di raccontare e far vivere le partite. Ognuno ha le sue preferenze. Molti radiocronisti sono passati da Tutto il calcio minuto per minuto, ma il primo è stato Niccolò Carosio. A risentirlo oggi si fatica a credere che fosse lui il radiocronista principe. Erano altri tempi, il gioco era meno veloce di adesso, i tempi di una radiocronaca molto diversi. E anche chi ascoltava era diverso. Il pezzo che vi propongo questa settimana è dedicato proprio a Carosio, pubblicato dal quotidiano veronese L'Arena il 30 ottobre 1984 a firma Maurizio Battista.
Roberto Pelucchi


Quella voce per la gloria azzurra
Il Nick del "wiskaccio". Lo ricordiamo così, con quel profilo aristocratico, i baffetti, la figura distinta, quel non so che di britannico lasciatogli in eredità dalla madre inglese. Trentatré giorni. E' già passato più di un mese da quando il 27 settembre scorso, nella clinica "Città di Milano" si spegneva Niccolò Carosio, un uomo, una storia, una leggenda. La voce più amata, il più popolare radio-telecronista di tutti i tempi, colui che ha segnato e accompagnato la nascita e la diffusione dell'emittenza radiofonica. Quella sua voce pastosa ma brillante, arrocchita negli anni dal fumo e dall'alcol, ha regalato a milioni di sportivi le emozioni più belle, ha fatto vivere via radio avvenimenti sportivi rimasti appesi come quadri d'autore nella galleria dei ricordi, ha fatto capire la validità del mezzo radiofonico facendo incollare milioni e milioni di orecchi al transistor. E lui commentava, descriveva, raccontava, partite di calcio, gare automobilistiche, incontri di boxe, gare ciclistiche, che hanno costruito, mattone su mattone, una carriera irripetibile, cinquant'anni di microfoni, oltre tremilacinquecento competizioni sportive.
Una carriera che Nick intraprese giovanissimo, un po' per gioco e un po' per convinzione. Era a Venezia, correva il 1932, studiava per laurearsi in Legge, si era da poco trasferito da Genova, dove i suoi genitori l'avevano portato da piccolino dal capoluogo siciliano. "Mi capitò di ascoltare - racccontava sempre - la radiocronaca di un famoso allenatore inglese, mister Chapman, dell'Arsenal e da allora iniziai a fare prove su prove per migliorarmi nel periodare, senza alcuna incertezza. Quando mi sentii pronto, scrissi all'Eiar di Torino e restai in attesa degli eventi". Lo convocarono subito; lo vollero esaminare. E lui descrisse davanti alla commissione, così seduta stante, un derby Torino-Juventus che si stava giocando in uno sconfinato campo di gioco, la sua fantasia. Lo interruppero. La domenica successiva era già in campo. Da allora, da quella domenica del 1932, le radiocronache degli incontri calcistici sono rimasti inseparabili come la luce del sole. Il successo aumentava, la novità decisa dall'Eiar aveva fatto centro. Un anno dopo Nick debutta in campo internazionale: c'è Italia-Germania allo stadio di Bologna. "Ero certo, in cuor mio, che non sarei arrivato al 90'" diceva Carosio rivivendo gli attimi di panico che lo assalirono quando le due nazionali entrarono in campo. Ma la sua verve, la sua grande professionalità ancora una volta vinsero la paura. Era scrupolosissimo. Prima di ogni incontro che avrebbe dovuto raccontare, si recava nel ritiro delle due squadre e si faceva presentare uno per uno tutti i giocatori, imprimendosi bene nella mente la fisionomia di ciascuno di loro, colore dei capelli, la corporatura, perché "a sbagliare il nome di un giocatore, c'è da rimetterci la reputazione".
E tutto questo faceva parte del suo lavoro oscuro, così oscuro che per anni Carosio non disse mai il suo nome via etere. Commentava in incognito. Solo dopo qualche tempo coniò la sua personalissima entrata: "Qui Wembley, è Niccolò Carosio che vi saluta e che vi parla". Per trent'anni ha conciliato grazie alle ferie e ai permessi speciali, la radio con il suo lavoro di consulente petrolifero alla Snell. Il microfono per lui era solamente il coronamento di una grande passione che l'animava, il raggiungimento i un sogno, quello di far "venire" allo stadio anche chi era a casa. Era tifoso, nazionalista, partigiano (teniamo presente anche l'epoca storica nella quale iniziò la sua attività), difendeva sempre la squadra azzurra, forse raccontandoa anche bugie, chissà. Ma per ben due volte a distanza di quattro anni ha avuto la storica occasione di gridare gonfio d'orgoglio, "l'Italia è Campione del Mondo". Anni 1934 e 1938 destinati a ripetersi solo quarantaquattro anni dopo in Spagna, l'11 luglio 1982, ma a raccogliere il testimone nel segno della Coppa del Mondo c'era Nando Martellini. Lui, Niccolò, con la Rai aveva rotto ogni tipo di collaborazione nel 1970, dopo i Mondiali del Messico quando in diretta inveì contro un guardalinee etiope, Seyoum Tarekegn, reo di aver fatto annullare, segnalando un fuorigioco, un gol di Rombo di Tuono Gigi Riva nell'incontro Italia-Israele. Carosio passò quindi a collaborare con alcune radio private, ma il grande pubblico rimase con un vuoto negli orecchi e negli occhi.
"Bella azione, onore al merito, la palla esce a lato e fa giustizia sommaria di un povero fotografo, quasi rete, e ora usciamo a rivedere le stelle, oppure, possiamo andare a farci un whisky" erano pennellate, note che hanno dipinto e scandito la storia dello sport e della radio. Otto campionati del mondo, ma non solo questi. Il primo circuito automobilistico di Tripoli (1933), tre Olimpiadi (Berlino, Londra, Helsinki), la Milano-Sanremo del '47 vinta da Fausto Coppi, l'incontro di pugilato Mitri-Humez da Parigi (titolo europeo), competizioni di atletica leggera e di pallacanestro, l'inaugurazione della Scala il 25 aprile 1945, tre Mille Miglia vissute in prima persona. Sì, Niccolò Carosio era anche tutto questo.
Maurizio Battista

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