Lo confesso: io sono quello che dall’età di dodici anni sbirciava La Gazzetta dello Sport sotto il banco di scuola, che teneva la radiolina sotto il cuscino per ascoltare il Gr2 delle 7.30 o Il Giornale della mezzanotte, immaginando i volti nascosti dietro quelle voci. Sono quello che santificava la domenica ascoltando Tutto il calcio minuto per minuto, anche a costo di saltare la partitella a pallone con gli amici all’oratorio. Sognavo di entrarci, in quella radio, con il corpo e con la voce. In qualche modo, ci sono andato vicino. Se sono diventato giornalista, e in particolare un giornalista sportivo, lo devo ad Ameri e Ciotti, a Bortoluzzi e De Luca, a Delfino e Orlando. Non mi meraviglia che Tutto il calcio minuto per minuto sia arrivato al traguardo dei 50 anni. Probabilmente i nostri nipoti festeggeranno il secolo di vita della trasmissione, perché ancora oggi il calcio alla radio ha un fascino che neppure la tv in alta definizione riesce a trasmettere. Non c’è tifoso che almeno una volta nella vita non abbia ascoltato Tutto il calcio, a casa, in auto o allo stadio. Io, da ragazzo, mi preparavo già al mattino, cercando di indovinare le designazioni della giornata. Anteprima Sport di mezzogiorno e il Gr2 delle 12.30, che si collegava con tre campi per le ultime notizie, davano qualche assist. Per il resto, bisognava aspettare le comunicazioni di Mario Giobbe nella prima parte di Domenica Sport, sul secondo canale. Indovinare la partita più importante dove mettere Ameri era piuttosto facile, così come infilare Ciotti, che poi quando iniziò a condurre La Domenica Sportiva in tv doveva per forza restare a Milano o nelle vicinanze. Più difficile azzeccare la spalla di Ameri per le interviste del dopopartita (si pescava spesso tra i giovani, i vari Delfino, Orlando, Grifoni) o i radiocronisti inviati sui campi minori, dove capitava di trovare qualche giornalista delle sedi regionali della Rai, un Renzo Corazza da Trieste, un Roberto Scardova dall’Emilia Romagna, un Sabatino D’Angelo dalle Marche o un Luigi Tripisciano da Palermo. L’unico idolo calcistico che avevo all’epoca era Walter Zenga. Ma dopo di lui c’erano i radiocronisti. Di Ameri apprezzavo il pathos che dava ai suoi racconti, anche se non sempre azzeccava i giocatori. Di Ciotti la competenza, l’ironia, la capacità di trovare il vocabolo giusto al momento giusto, senza mai impappinarsi. Di Ferretti adoravo la voce, di Provenzali la cronaca “cantilenata”. Ma i miei preferiti erano Bruno Gentili, Giulio Delfino e Nicoletta Grifoni, la prima donna ad aver violato il Tempio. Adesso trovo davvero bravi Corsini e Repice. Le partite della Nazionale le guardavo in televisione, ma le ascoltavo alla radio, con la cronaca di Ameri, gli interventi della tribuna stampa di Ciotti e quelli dagli spogliatoi di Luzzi. Erano voci che ti restavano dentro. Nella primavera del 2007, quando già lavoravo in Gazzetta, ricevetti una telefonata inaspettata. La voce che ascoltai mi erano notissima: “Pronto, sono Paolo Carbone, un collega. Ho bisogno di contattare uno dei vostri statistici, mi puoi aiutare?”. Restai per qualche secondo senza riuscire a dire nulla, come ipnotizzato da quella parlata riconoscibilissima, che mi aveva fatto compagnia per tanti anni. Carbone, che per il Guerin Sportivo scrisse un commovente ricordo di Enrico Ameri, lo ricordavo molti anni prima come giornalista del Gr2, come radiocronista, poi come conduttore di Domenica Sport. Ricordo quando gli capitò di sfottere Mario Giobbe per la sua fede calcistica, prendendosi un rimbrotto in diretta dal Grande Capo. Morì di infarto pochi mesi dopo quella telefonata, e quando lessi la notizia su un’agenzia fu come se avessi perso un parente, un amico. Da ragazzo allo stadio di Bergamo, la mia città, non andavo spesso. Ma quando lo facevo, cercavo di scorgere dalla gradinata apposta alla tribuna centrale il volto del radiocronista di turno. Impresa impossibile. Ecco, il volto dei radiocronisti era immaginario, fino a quando non si riusciva a vedere quello reale su qualche giornale o in televisione. Ferretti lo vidi per la prima volta in una bella trasmissione di Renzo Arbore, Cari amici vicini e lontani, insieme con Ameri, Provenzali, Bortoluzzi, Nesti e Luzzi. Accompagnati da Ciotti al pianoforte, cantarono “Ma se ghe pensu”, celebre canzone in dialetto genovese. Rividi poi Ferretti quando passò al Tg3 e raccontò dallo studio la tragedia delle Frecce Tricolori a Ramstein. Poi nel 1993 ho incominciato a girare per gli stadi italiani e ho potuto vedere “dal vivo” che faccia avevano i miei idoli giovanili, come si muovevano. Li sbirciavo in modo discreto, senza confessare le mie debolezze per quel loro affascinante lavoro. Delfino l’ho conosciuto personalmente soltanto qualche settimana fa a San Siro, con Forma ho parlato nell’imminenza di AlbinoLeffe-Empoli. Orlando l’ho visto al Giro d’Italia e durante una partita di serie B a Mantova. Dotto l’ho incrociato a Marassi, ma anche nelle interminabili assemblea in Lega Calcio a Milano. Repice l’ho visto qualche volta a Bergamo, e la cosa che mi aveva stupito di più è che faceva la radiocronaca stando sempre in piedi. Quando raccontava la partita sembrava un maratoneta sul tapis roulant… Ecco, questi sono alcuni dei miei ricordi legati a Tutto il calcio minuto per minuto. Una trasmissione alla quale si perdonano facilmente anche i piccoli difetti che a noi stessi non perdoneremmo mai, come l’abuso da parte di qualche radiocronista di frasi fatte o parole arcaiche, retaggio di un giornalismo vecchio. Tutto il calcio, invece, ha 50 anni, ed è ancora giovanissimo. Perché continua a farci sognare. Oggi come il primo giorno.
Roberto Pelucchi
#TICBemozioni
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sabato 2 gennaio 2010
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