C’era Carosio. Cucchi e Gentili si innamorarono di lui e Delfino non era ancora nato. La radio era la televisione di oggi e forse di più, perché ti lasciava l’immaginazione e allora sognavi gli avvenimenti e anche Carosio e Ferretti. Altri tempi e bei tempi. Poi Enrico Ameri, lo studio centrale di Roberto Bortoluzzi, i sospiri rauchi di Sandro Ciotti, che il microfono amplifica e rende percettibili e belli. “Tutto il calcio minuto per minuto” ha fatto storia e tradizione. Domenica, come è successo domenica scorsa nel giorno muto dello sport italiano, l’appuntamento salterà. Sciopero dei radiofonici; dunque, anche delle voci giovani del calcio, che avrebbero voluto evitare e non ce l’hanno fatta. Per i tifosi un’altra giornata di silenzio.
Bortoluzzi è in pensione, Ameri pure, con i suoi capelli bianchi e il ritmo. Ciotti in pensione è da un paio d’anni, ma collabora e ci regala qualche passo doppio sintattico. Attenzione, c’è Ezio Luzzi, l’amico della serie B. Ma la trasmissione, la più popolare, la più bella, la più giornalistica per antonomasia, la cronaca in diretta e sempre (scioperi a parte), quella trasmissione ora è cambiata. Nel senso che sono altri personaggi che imbracciano il microfono. Onda verde o quasi. Bruno Gentili e Riccardo Cucchi girano attorno ai quaranta, Antonello Orlando ha da poco sforato i trenta, è giovane Emanuele Dotto, Giulio Delfino di anni ne ha ventisette. Soltanto Forma e Foglianese alzano la media della squadra di Luigi Coppola, che la guida dalla scrivania. Al posto Bortoluzzi o De Luca, adesso c’è Provenzali: con lui ci sentiamo a casa e si sentono a casa, soprattutto, i soldati del gol, in prima linea e senza casco e senza rete.
“Noi e il microfono e dall’altra parte milioni di persone che ascoltano, soffrono, fanno salti di gioia. Emozionante e bellissimo”, dice Bruno Gentili: il più “caldo”, ritmo e passione. E’ cresciuto con Massimo De Luca, adesso capo dello sport Fininvest e De Luca se lo sarebbe portato volentieri dietro. De Luca, per imparare, lo mandava con un registratore a seguire partite di basket e Gentili, in mezzo alla gente, infilava in quella macchinetta i suoi colloqui con la fantasia. De Luca riascoltava, dava lezioni, lo modellava. Sono tredici anni che Gentili accompagna la Nazionale di calcio, che è l’università dei giornalisti sportivi. Chi ci arriva, è arrivato. “Ho seguito l’Heysel e non lo dimenticherò mai. Ventiquattro ore in diretta. Terribile. Un augurio: mai più una cosa del genere”. Una volta sedette all’Olimpico accanto a Ciotti, che doveva raccontare una partita di Coppa tra Roma e Dundee. Era in vacanza e impreparato, ma Ciotti non lo sapeva. “Le formazioni verranno annunciate da Bruno Gentili”, disse Sandro passando il microfono al collega. Gentili non si perse d’animo: inventò undici nomi scozzesi, citando altrettante marche di whisky.
Fa coppia in Nazionale con Gentili, Riccardo Cucchi. Cronaca a due voci, cui si aggiunge quella dalla tribuna stampa di Ezio Luzzi, che una volta, negli Stati Uniti, lanciò un bicchiere d’acqua a un collega per fargli capire di essere in diretta: “Forza, dì qualcosa”. Cucchi ha fatto televisione. Lo ricorderete in puntuali dirette di atletica. “Ma amo la radio e restare anonimo. Mio figlio si lamenta quando mi vede in televisione: gli amici, dice, mi prendono in giro. E’ successo anche per alcuni interventi in Scommettiamo che?”. Cucchi è entrato in Rai nel ’79: vinse un concorso e non è cosa da poco. Trovò spazio a Campobasso. “Dove ho avuto l’occasione di fare grande esperienza, occupandomi, come succede in provincia, di tutto. Poi sostituii un collega per la cronaca di Campobasso-Fiorentina e da allora sono entrato in questa squadra. Mi emoziono sempre, nel senso che ho un sacro rispetto per il microfono. Ameri mi diceva: ricordati, in questo lavoro finirai di imparare solo il giorno in cui andrai in pensione. E sono ancora qui ad imparare, a cercare di commettere meno errori possibile, sapendo che ne ho commessi e altri ne commetterò: questa è una delle poche certezze della nostra professione. Da ragazzo non facevo altro che trasmettere partite, inviato da me stesso a seguire partite immaginarie. Ora dentro quel sogno, vivo e non mi sembra vero”.
Antonello Orlando cominciò con Padova-Bari, poi si mise al seguito di Ameri. “Andava allo stadio due o tre ore prima dell’inizio. Per evitare il traffico e il pubblico, che lo riconosceva. Ma soprattutto per trovare la concentrazione. Quell’abitudine mi è rimasta. Mi avvicino a tappe al microfono. Quando tocca a me, teso e preoccupato, sono anche pronto e ci guadagna la trasmissione. Anni fa con Ameri arrivammo così presto a Verona, che ci fecero accomodare in segreteria. Lo stadio era ancora chiuso. Disavventure? Una, a Messina. Una cinquantina di persone mi assediarono e mi fece uscire la polizia. A Parma, anni dopo, mi dette una mano Pastorello”. Un problema il rapporto con la gente. Ci si immagina che i radiocronisti stiano comodamente seduti in poltrona, che la poltrona si trovi in una cabina riscaldata d’inverno e con aria condizionata d’estate, che ci sia una scrivania e sopra un monitor e sotto un bar con bibite fresche. Errore. Il radiocronista se ne sta per lo più, solo, in mezzo al pubblico. E se sbaglia, come è umano e come è giusto, diremmo, nessuno lo aiuta.
Giulio Delfino è poco più che un bambino: ventisette anni a questo livello sono niente, un soffio. Eppure da quattro anni partecipa a “Tutto il calcio” ed ha già vissuto la prima disavventura della carriera. “Ero ad Ancona e raccontai cosa stava succedendo: alcuni tifosi locali avevano lanciato fumogeni. Non l’avessi mai detto. Mi rinfacciarono i miei trascorsi pescaresi e addio. Tra Ancona e Pescara c’è rivalità, come si sa. E io a Pescara ho lavorato in una tivvù privata dai diciotto ai ventidue anni. A ventitré ero in Rai e dopo sei mesi feci il mio esordio in trasmissione”. Tutti dicono di temere il microfono. Ne hanno paura. Lo amano. Uno strano, contorto rapporto. Non per Delfino: “Dieci minuti alla partita e io sono freddo come se mancassero dieci ore. Il fatto è che sono innamorato della radio. All’inizio la snobbavo, avrei preferito la televisione: ora guai a chi me la toglie”. Fa ciclismo (“La mia vera passione”), che segue in motocicletta e anche questo è giornalismo vero. Nessuno, prima di lui, vede ciò che noi ascoltiamo.
Roberto Renga
3 commenti:
Bellissimo! (l'aneddoto di Gentili fa molto ridere..)
Pensavo che Orlando avesse più anni, onestamente (ma era già voce del ciclismo nel 1995...? non mi ricordo) Tra l'altro, qui Giulio Delfino non è ancora la voce della Formula 1 ed è una voce del ciclismo.. sono davvero belli questi aneddoti che ci proponi!
minutoxminuto
Nel 1982 Riccardo Cucchi ha fatto i collegamenti per "90° minuto" quando il Campobasso era in serie B.
vero ?
Alessandro
Quanti ricordi, nel 1995 eravamo in piena fase di cambiamento dalla vecchia generazion di radiocronisti (Luzzi, Ciotti, ecc..) e l'entrata dei nuovi tipo Cucchi e Gentili. L'articolo è francamente bellissimo..Bello anche pensare che i giovani di allora sono ancora le voci di adesso. Peccato solo dell'addio di Gentili, altrimenti ancora oggi potremmo contare su una vera e propria squadra di fuoriclasse del microfono. Oggi siamo nel tempo del Cucchi-Repice, 2 magnifiche voci per un nuovo-vecchio e sempre verde tutto il calcio minuto per minuto..
complimenti per la rubrica
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