Per otto mesi su dodici, ogni domenica pomeriggio – alle 15.30 in autunno, mezz’ora o un’ora più tardi quando le giornate ricominciano ad allungarsi – alcuni milioni di italiani girano le manopole degli apparecchi radio e dei transistors, dovunque si trovino, in casa o in auto o allo stadio, per sintonizzarsi sulle stazioni del programma nazionale. Preceduta da un annuncio che reclamizza una marca di brandy, invariabilmente la stessa, comincia la trasmissione radiofonica più ascoltata: “Tutto il calcio minuto per minuto”.
Un’idea collettiva
Quanti sono gli italiani che “vivono” domenicalmente le partite di serie A e B attraverso la radio? In media, venti milioni alla settimana. Ma sono state raggiunte punte sbalorditive di 28 milioni, più di metà dell’intera popolazione. Accadde nell’ultima giornata del campionato scorso, quando i collegamenti fra uno stadio e l’altro resero ancora più drammatico e palpitante il memorabile sorpasso della Juventus nei confronti del Milan, clamorosamente crollato a Verona. L’indice di gradimento della trasmissione è altissimo: 88 o addirittura 90, roba da far impallidire perfino i più popolari spettacoli della Tv. L’uomo che guida “Tutto il calcio minuto per minuto” è un distinto signore napoletano di 52 anni che vive a Milano dal 1939. Si chiama Roberto Bortoluzzi, sposato, senza figli, proprietario di un’Alfa Romeo coupè e di una casetta in riva al mare di Nervi, unico hobby qualche buon libro, carica ufficiale “vice-capo redattore” dei servizi sportivi radiofonici. Suo padre era ingegnere: si trasferì trentaquattro anni fa a Milano per costruire il palazzo della Rai-Tv in corso Sempione. “Anch’io dovevo diventare ingegnere – ricorda Roberto Bortoluzzi –. Ero iscritto al Politecnico. Poi scoppiò la guerra e dovetti interrompere gli studi. Tornai a Milano dopo l’8 settembre ’43, ma la voglia di studiare m’era passata. Dovevo pur fare qualcosa, però. Un amico mi disse che avevo una discreta voce, senza traccia di inflessioni napoletane. Otto mesi più tardi entravo alla Rai”.
Sono passati quasi trent’anni. Bortoluzzi ha fatto il radiocronista (soprattutto sport invernali, automobilismo ed atletica leggera) ed è apparso anche sui teleschermi prima che venisse adottata una rigorosa divisione di settori fra Tv e radio. “Fu nel 1955. Condussi una trasmissione sportiva dedicata ai ragazzi che durò qualche mese”. Fedele a un clichè ormai logoro del napoletano un po’ pigro, Bortoluzzi confessa di preferire la radio “perché alla Tv si lavora troppo e ci sono un mucchio di scocciature”. Ma dev’essere anche una questione di timidezza o forse di riserbo. “Non mi piace fare il mezzobusto davanti alle telecamere, io sono inguaribilmente innamorato della radio”.
L’uomo che “racconta” la giornata calcistica a venti milioni di italiani non va allo stadio di domenica da tredici anni. Da quando, nel 1960, nacque l’idea di “Tutto il calcio minuto per minuto”. “Riesco a vedere soltanto qualche partita di coppa perché si gioca di mercoledì” spiega. La trasmissione radiofonica più ascoltata d’Italia nacque da un’idea collettiva. “Fino al ’60 – racconta Bortoluzzi – c’era Carosio che trasmetteva il secondo tempo della partita più importante della giornata. Noi raccoglievamo in studio i risultati degli altri incontri e li telefonavamo al buon Nicolò, che li leggeva in chiusura di trasmissione. Un giorni ci chiedemmo perché mai non si potessero effettuare radiocronache da più campi, comunicando via via i risultati di tutte le partite”.
Ritmo e precisione
Cominciarono le prove, gli esperimenti, i “numeri zero” della trasmissione. Il debutto avvenne nel gennaio del ’60. “Cominciavamo finalmente ad usare il mezzo radiofonico come andava usato”. All’inizio i campi collegati erano quattro di serie A ed uno di serie B, la trasmissione prendeva avvio al termine del primo tempo, un quarto d’ora in anticipo rispetto ad oggi. “Pensammo di dare opportunità ai radiocronisti di raccontare quello che era accaduto nei 45 minuti iniziali. Ma poi ci accorgemmo che la trasmissione aveva un avvio un po’ troppo lento, quasi noioso. Allora decidemmo di aprire i collegamenti con l’inizio del secondo tempo. Credo che il risultato sia stato apprezzabile: quel quarto d’ora in meno ha conferito una maggiore snellezza alla trasmissione, le ha dato più ritmo e velocità senza perdere in precisione”.
Fino a tre o quattro anni fa “Tutto il calcio minuto per minuto” sospendeva le proprie trasmissioni alla quart’ultima giornata di campionato: lo esigevano i diritti calcistici nel timore che il risultato di una partita in corso potesse influenzare lo svolgimento di un altro incontro nel quale si lottava per lo scudetto o la salvezza. “Quando ci si rese conto che in mancanza di “Tutto il calcio”, le società si erano organizzate con comunicazioni telefoniche puntuali e tempestive, il veto fu rimosso e la trasmissione poté proseguire fino al termine del campionato di serie A”.
I campi di riserva
Oggi il programma di “Tutto il calcio minuto per minuto” non si discosta molto da quello dell’esordio: i campi collegati micro fonicamente sono quattro o cinque di serie A, uno o due di serie B, talvolta anche uno di serie C. Gli altri quattro campi di A vengono definiti “di riserva”, sono collegati con un telefono diretto ma si tengono sempre pronti ad entrare in azione anche microfonicamente nel caso in cui ci sia qualche rinvio o sospensione a causa di nebbia o maltempo. I restanti campi di serie B godono di un collegamento telefonico per comunicare l’andamento del risultato. Chi si immagina una specie di Capo Kennedy radiofonico-calcistico si sbaglia. “Tutto il calcio minuto per minuto” è stipato in due stanzette al quinto piano del palazzo di corso Sempione. In una – seduto dietro ad una scrivania zeppa di pulsanti e con un microfono al centro – ci sta Bortoluzzi. Nell’altra, lunga e stretta, ci sono due tavoli addossati alle pareti: da una parte i telefoni della serie A, dall’altra quelli della serie B. I collaboratori domenicali di Bortoluzzi nello studio sono cinque in tutto: Arnaldo Verri e Ivo Fineschi, che fanno parte della redazione sportiva radiofonica, un signore e una signora di mezz’età che sono dipendenti della Rai, Bruno Cirillo e Renata Bertini, ed un giovanotto che presta la propria opera soltanto di domenica, Renzo Ceresa.
Fineschi e Cirillo tengono i contatti con i quattro campi di serie A non collegati micro fonicamente, Ceresa si occupa della serie B, la signora Bertini salta da un appunto all’altro per essere pronta a fornire un quadro più “fresco” della situazione a Bortoluzzi. Verri, infine, ascolta tutta la trasmissione, ne valuta ritmo, efficacia e precisione, annota risultati e marcatori per essere pronto a passare a Bortoluzzi il sunto finale della giornata. Ogni tanto si affaccia qualcuno: attori popolari che stanno “girando” un teleromanzo, annunciatori dal volto ormai familiare a milioni di spettatori, tecnici che in uno studio a pochi metri stanno registrando le due partite da mandare in Tv poche ore dopo. Si informano di questo o di quell’incontro, chiedono se il gol dell’Inter lo ha segnato Boninsegna o se il rigore fallito da Riva è finito fuori o è stato parato. L’atmosfera è familiare, quasi artigianale. C’è il corrispondente da un campo di serie A che si dilunga al telefono per spiegare che piove e fa freddo. Fineschi, allora, taglia corto: “Apri l’ombrello e dimmi il risultato”. Un altro si limita a far sapere che ha segnato Rivera. Cirillo si spazientisce: “Su passaggio di chi? Di destro o di sinistro?”. Su ogni telefono una targhetta con la partita e la luce si accende quando arriva una chiamata.
Alle 15.30 in punto la trasmissione prende avvio. L’introduzione è sempre la stessa: “Gentili ascoltatori, buon giorno. Dallo studio centrale è Roberto Bortoluzzi”. Poi c’è l’elenco dei campi collegati e dei radiocronisti impiegati. Quando qualcuno chiacchiera più del necessario, la voce di Bortoluzzi interviene garbata ma ferma e decisa. “Per favore, interventi più rapidi da Roma, da Catania e da Terni”. Mai uno scatto d’ira, però, mai un rimprovero. Di Bortoluzzi, dicono che sia uno degli ultimi e sempre più rari esempi di autentico gentiluomo. “E’ il tipo che sa farti un complimento o un rilievo al momento giusto” spiega un popolare radiocronista. “E’ l’uomo ideale per guidare una trasmissione del genere – dice un altro –. E’ misurato, mai una sbavatura o una parola in più, non soffre di simpatie o di antipatie”. C’è chi sostiene che in via del Babuino si cerca da anni di dirottare “Tutto il calcio” da Milano a Roma. Ma finora non c’è stato niente da fare: di fronte a sottili manovre di corridoio s’è sempre eretta la patetica ed ostinata opposizione di Bortoluzzi, che difende strenuamente la “sua” trasmissione. Ogni domenica sera, poche ore dopo la conclusione di “Tutto il calcio”, già si pensa all’edizione di otto giorni dopo. Bortoluzzi telefona a Roma, dove c’è Guglielmo Moretti, il capo redattore. Calendario e classifica alla mano, discutono sulle partite da collegare micro fonicamente la domenica successiva, valutano l’importanza di un incontro rispetto ad un altro, assegnano i radiocronisti alle sfide di San Siro o del “Comunale” di Torino o dell’Olimpico.
Per sei giorni su sette, Bortoluzzi segue una normale routine redazionale. E’ una tranquilla preparazione all’ora più stressante della settimana: dalle 15.30 alle 16.30 della domenica. Bortoluzzi arriva in corso Sempione un’ora prima dell’inizio della trasmissione: una serie di telefonate per sapere se tutti sono ai propri posti, radiocronisti e tecnici, se non ci sono minacce di rinvio, se ogni cosa è stata predisposta nel modo migliore. “A volte qualcuno arriva allo stadio all’ultimo momento, facendomi stare sulle spine”.
“E’ da antologia”
Bortoluzzi non si sente un personaggio popolare. Forse perché da quasi vent’anni non appare in Tv, rifiutando anche gli inviti di Pigna per intervenire qualche volta alla “Domenica sportiva”. Dopo le prime trasmissioni di “Tutto il calcio” riceveva decine di lettere. “Tutte piuttosto garbate, mai un insulto, soltanto qualche rilievo, talvolta anche dei consensi. Adesso ne ricevo sempre meno. Buon segno: vuol dire che la trasmissione funziona”. C’è chi lo ritiene un impiegato della ditta che reclamizza il proprio brandy prima della trasmissione e chi, in banca o dal barbiere, gli chiede due biglietti per il “Rischiatutto”. “La mia popolarità è tutta qui” dice lui, che si considera un tipo freddo ed incontentabile, raramente soddisfatto del proprio lavoro. Soltanto una volta, ricordano i suoi collaboratori più stretti, ammise che un’edizione di “Tutto il calcio” era riuscita davvero bene. Si affacciò alla stanza dei telefoni, accese una delle venti Gauloise quotidiane e disse semplicemente: “Ragazzi, oggi abbiamo fatto una trasmissione da antologia”.
Mario Gherarducci
2 commenti:
Bello...come del resto tutto ciò che è uscito dalla penna di Mario Gherarducci (che, vale la pena ricordarlo, è il papà di Giorgio della giallappa's).
Eccezionale. Ci porta proprio dentro. Non avevo mai visto da nessuna parte un documento così approfondito. Grazie.. sarà una grandissima sezione. Una mezione anche Mario Gherarducci, una grandissima firma sportiva, di quelle in estinzione.
P.S. Sui cronisti che arrivano allo stadio in tempo.. forse Roberto ce lo dirà più avanti.. però, se non mi sbaglio, mi ricordo un aneddotto su Ameri che arrivava 3-4 ore prima allo stadio e sfidava sempre a carte chi c'era già allo stadio..
minutoxminuto
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